Sacchetti per Pupù, passeggiate in corsia, varie ed eventuali
- di Redazione
- 22 Dicembre 2020
- Ma, soprattutto, vivere
Con sagace ironia l’amica Francesca ci racconta alcuni aspetti del suo percorso oncologico.
DISCLAIMER: SCRIVO IN UN MODO PARTICOLARE, A VOLTE USO PAROLE DURE O CRUDE, MA NON C’È ALCUN INTENTO OFFENSIVO VERSO NESSUNA COSA O PERSONA
Spesso capita che io veda lo sguardo da pesce lesso dei miei interlocutori mentre racconto loro di aver vissuto dei giorni da diva all’interno del reparto di terapia intensiva. Complice la morfina e l’attenzione degli infermieri tutta catalizzata su di me, ho davvero passato 3 giornate super rilassanti lì dentro, solo che quando lo racconto le persone rimangono un minimo congelate e danno subito la colpa ai farmaci, o alla mia ormai nota follia latente. Anzitutto essere l’unica ricoverata nella sala mi ha subito regalato il tesserino vip di un luogo che, drogata com’ero, mi sembrava il più esclusivo di tutti. Il momento migliore era quello della "doccia": sulla mia pelle passavano dei manicotti umidi che rilasciavano un favoloso detergente senza risciacquo, mi lavavano i denti con una specie di spazzolino usa e getta dal sapore balsamico e mi sistemavano con dolcezza i capelli. Ahhhhhhhhhh che pace! Vorrei passare ore a parlare dell’igiene quasi da Spa praticata dagli OSS in quel reparto, ma troppi dettagli non interesserebbero a nessuno. Comunque, quei giorni di transizione, le coccole ricevute e soprattutto la morfina che dava alle mie parole una pronuncia particolarmente alluuuungaaaataaaa, mi hanno lanciata verso un ottimo recupero. E’ stato allora che in reparto di ginecologia è stata girata una prima versione di "Francesca ti presento la Stomia" . Ho sin da subito accettato questa modifica del mio corpo, vuoi perché non ho mai avuto questa gran panza da modella, vuoi perché era una modifica necessaria, visto che il carcinoma si era preso senza chiedere il mio sigma e il mio retto. Ero già informata in maniera vaga su questa "Borsetta da Pupù" che da un po’ ormai porto appiccicata alla pancia, ma non ne conoscevo nel dettaglio il funzionamento. Devo dire che trovo questa pratica chirurgica particolarmente interessante. Voglio dire: chi può mai aver avuto l’idea di estroflettere una parte di intestino, facendola sbucare fuori like a marmotta? Mi immagino il momento dell’illuminazione : "Ehi ragazzi, potremmo cucire l’intestino fuori dall’addome e raccogliere il prodotto fecale con un sacchetto!" e tutti giù a schifarsi e a prendere l’illuminato in questione a pappine per aver detto tale oscenità. In realtà il confezionamento delle stomie intestinali è forse l’intervento più vecchio che sia mai stato effettuato sull’intestino, infatti ci sono prove di interventi simili risalenti perfino al 350 a. C.. Come dicevo, trovo molto affascinante guardare in basso a sinistra e vedere il mio intestino "in persona", so che questa cosa può suonare macabra, ma penso che trovare sempre del buono dove si può sia uno dei miei pochi pregi. E siete fortunati che non corredo di foto l’articolo, per farlo infatti dovrei arrivare a un tasso di malvagità eccessivo, ed io sono malvagia solo al 30%. O forse arrivo al 40? Chissà! Ad ogni modo, dopo aver fatto pace con la mia nuova amica colostomia, dopo aver visto e ammirato gli innumerevoli punti posti sulla lunga incisione che divide il mio addome in stile mar rosso e dopo essere entrata in possesso della mia fantastica pancerona, ho potuto mettere i piedini per terra e farmi strada per le corsie del reparto. Ho ripreso a camminare dopo pochi giorni dall’intervento e devo dire che a quel punto avevo diradato abbastanza il mio carnet di telefonate. Avevo un mucchio di cose da fare: occuparmi di varie questioni burocratiche, ordinare un materasso nuovo per quando sarei rientrata a casa, sognare di rivedere mio marito e le mie gatte, che ormai si erano convinte di essere orfane di madre e stavano già facendo gran festa all’idea di non aver più quella gran rompiscatole che sono io dietro le code. Il giorno che mi sono vestita e ho salutato i miei amichetti infermieri, alle prese con le mie prime vampate menopausistiche e coi jeans diventati inaspettatamente larghi, mi sentivo emozionata. Rivedere mio marito è stato molto bello: nonostante fossi abituata a passare la maggior parte del tempo (causa 30% di mia malvagità e una percentuale indefinita di sua monelleria) a meditare su come ucciderlo e occultare al meglio il suo cadavere, trovavo in lui una luce spettacolare mentre mi apriva la portiera dell’auto e mentre mi baciava dopo tanto tempo. Arrivata a casa ho salutato le mie piccole figlie pelomunite e ho potuto riposare dalla grande avventura. Piano piano, un giorno dopo l’altro ho ripreso a camminare per casa, all’esterno e a sentirmi di nuovo me stessa. Si era ancora dentro la maledettissima fase 1, quindi quei 3 allocchi di mio marito e delle mie figlie feline erano gli unici personaggi di cui era popolato il mio mondo, eccezion fatta per quando andavo in ospedale a togliere punti, fare controlli etc. Ma presto sarebbe arrivata la fase 2 e avrei potuto rivedere mia madre, i miei migliori amici e tutte le persone a me più care. Diciamo che, nella sfortuna, mi reputo abbastanza fortunata ad aver avuto un simile post operatorio, privo di complicazioni e varie. Di come ho affrontato l’attesa della terapia e la terapia stessa parlerò più avanti, vi ho già stressato abbastanza!