Periodo Blu
- di Redazione
- 29 Dicembre 2020
- Ma, soprattutto, vivere
Ancora una volta l'amica Francesca Tocco ci racconta le sue vicissitudini legate alle visite e i cambiamenti del suo corpo
DISCLAIMER: SCRIVO IN UN MODO PARTICOLARE, A VOLTE USO PAROLE DURE O CRUDE, MA NON C’È ALCUN INTENTO OFFENSIVO VERSO NESSUNA COSA O PERSONA
"Se si costruisse la casa della felicità, la stanza più grande sarebbe la sala d’attesa" diceva Jules Renard. E normalmente mi avrebbe trovata d’accordissimo. Infatti, da ex organizzatrice di eventi posso affermare che nell’organizzazione di una festa o di un‘attività ludico culturale il momento migliore è sempre l’organizzazione stessa. Attendere Halloween significa intagliare un ghigno malevolo su una malcapitata zucca, appendere scheletri ovunque e decidere un menù spettrale come attendere il Natale significa attrezzarsi con ghirlande brillanti, abeti vaporosi da riempire di palline colorate, scegliere accuratamente tutte le novecentonovantasei portate. E’ l’attesa dell’ignoto che ci frega, l’attesa di qualcosa che ha il potere di cambiarci la vita. Quando sei in attesa di fare una pet, impiantare un catetere venoso e cominciare la chemioterapia, allora l’attesa non è più la parte più bella, è esattamente la parte peggiore. Se dovessimo parlare della mia giovine esperienza carcinomistica in termini picassiani, si potrebbe dire che la suddetta attesa è stata certamente il mio periodo blu. Mentre durante il periodo passato in ospedale ero stata allegra, avevo metabolizzato la cosa e riuscivo a vedere per lo meno la parola "ORA" oltre che la parola "FINE", una volta rientrata a casa, dopo che ho ricominciato a camminare, mangiare normalmente e mi sono ritrovata coi miei pensieri ho avuto la mente annebbiata dalla parola "LIMBO".
Grazie a questa approfondita e non richiesta esperienza so che ci sono persone che prendono malissimo la chemioterapia, persone che la prendono mediamente e altre che la prendono relativamente bene. Purtroppo, quando vediamo il ritratto del cancro nel mondo cinematografico, chi si sottopone a chemioterapia ci viene mostrato sempre in condizioni pietose, apatico, nervoso, o anche angelico e serafico, martirizzato, pallido, magro, emaciato, inappetente, vomitante, debole e chi più ne ha più ne metta. Non capita mai di vedere qualcuno che si sottopone alla cura e se la cava bene, in quel frattempo. Immaginate come io povera piccola trentatreenne catapultata in un mondo fatto di ospedali e di statistiche barbine, con tale filmistico bagaglio, posso aver atteso il momento in cui sarei stata attaccata a quei mefitici fluidi che mi avrebbero, sempre da filmistico bagaglio, dovuto uccidere peggio del tumore stesso. Imprigionata nelle restrizioni anticovid e condannata ad un’attesa indefinita, stavo li a pensare le cose peggiori...sul tumore che cresceva inesorabile e colonizzava tutto il mio corpo peggio dei coloni inglesi nelle appena scoperte Americhe e su questa fantomatica chemio che chissà quando avrei dovuto cominciare. Avvolta in questi cupi pensieri, mi trascinavo attraverso i giorni, attendendo una qualche svolta, che sarebbe arrivata relativamente a breve. Il giorno in cui ho impiantato il picc, nonostante la bravura e la simpatia del team che se ne occupa, è stato forse il sia il giorno peggiore, sia quello che ha segnato la risalita dal mio bluastro momento.
Sono arrivata in ospedale verso le 7:00, orario per me poco più che albeggioloso, in quanto troppo vicino all’alba per i miei gusti. Già lì, era tutto un programma! Mi hanno fatto l’anestesia locale, ma avevo comunque paura che avrei sentito quel tubo di x centimetri inserirsi prepotente nella mia vena basilica. Fortunatamente non ho sentito nulla. Fisicamente. Mentalmente mi sono sentita come se tutto si fosse in quel preciso istante confermato come realtà assoluta. Il mio tumore era diventato più reale in quel momento, con un piccolo interventuccio ambulatoriale, eseguito da infermieri specializzati, che quando un team di chirurghi era rimasto chino sul mio addome per 9 ore filate per estrarre metà del suo contenuto. Sono stata in ala D, su una poltrona per chemioterapia, ad attendere la radiografia toracica, in quel frangente ho pianto calde lacrime, sentendomi come se mi stesse piovendo dentro. Sono rientrata a casa, sfinita e con un dolore all’ascella che non vi dico, a piangere altre lacrime, stupendomi di averne ancora da parte. Ero troppo spaventata da me stessa e da quel peggioramento repentino del mio umore per rendermi conto che in realtà si stava già configurando un percorso di risalita. La mattina dopo mi sono svegliata che avevo già tutta un’altra testa, il dolore all’ascella era sparito e stavo già aprendo il pacco contenente il mio nuovissimo copripicc impermeabile e già lo stavo mettendo all’opera con cipiglio affascinato da scienziato sotto la doccia. Certo prima di utilizzarlo senza trentaseimila strati di pellicola sotto ci sarebbe voluto ancora un po’ ma questa è un’altra storia. Pensando al mio copripicc mi è venuta in mente la persona che me lo ha consigliato. E’ una donna splendida che ho avuto l’onore e il piacere di conoscere telefonicamente già ai tempi della mia carriera di centralinista durante il ricovero in ospedale. Il destino ha voluto che fosse la zia di un’amica che mi cammina affianco da circa 15 anni, che recentemente ha vissuto anche lei dentro l’universo del paziente oncologico e che quindi mi è stata molto vicina nel periodo più caldo della scoperta del mio tumore.
Questa carissima amica sapendo che questa era stata vittima del mio stesso identico problema ha voluto mettermi in contatto con la sua fantastica zietta, che si è presa la briga di sopportare al telefono le mie mille domande, i miei ragionamenti contorti e le tate, troppe paure che ovviamente ho avuto. Colgo l’occasione per salutarla e ringraziarla, e aggiungo che se sapesse come è memorizzata nel mio cellulare riderebbe fino alla fine dei giorni. Come cosa??? Siete curiosi? E va bene, mi svergogno...ho lasciato lo stesso nome con il quale me lo aveva girato la mia amica...quindi "Zia M.". Inizialmente l’ho fatto senza pensarci, poi ho trovato quasi confortante vedere apparire sul mio telefono quella dicitura così calda e familiare e quindi l’ho lasciata così. Comunque...anche la storia della mia buia buia attesa è venuta alla luce, ma la parte divertente riguarda la terapia in se stessa, però queste storie le leggerete più avanti. Saludos amigos!