Lessons learned

Lessons learned

  • di Redazione
  • 27 Marzo 2020
  • La collana di perle di Giulia

La splendida perla della collana dalle nostra amica Giulia Muntoni ci regala una nuova profonda riflessione.

Non so che tipo di persona tu sia ma io, almeno da sei anni a questa parte, sono quello che in inglese si definirebbe "restless". Non mi fermo, mai.

Anche dopo aver vissuto un anno particolare come quello delle cure, questa reclusione forzata non mi è affatto familiare o, comunque, lo è solo in minima parte. Infatti, la mia reazione al profondo stravolgimento fisico ed emotivo dei giorni subito dopo la chemio è stata quella di radunare le poche forze che avevo a disposizione e uscire.

Per mesi, sono stata un'inarrestabile, improbabile turista, qualunque fosse la condizione fisica o meteorologica. Ho combattuto gli attacchi di panico tuffandomi nella Vita come se, letteralmente, non ci fosse un domani. Mi sono presa cura delle mie ferite offrendole al mondo e condividendole con chiunque, consapevolmente o meno, le sapesse lenire.

Dopo una vita in cui la maggior parte delle attività era stata programmata, lasciando poco spazio all’improvvisazione, la mia risposta alla sofferenza e alla paura è stata l’azione, l’istinto di non fermarmi.

Eppure, come da più parti ci ripetono, questa pausa era necessaria. Me ne accorgo anche io per me stessa. Se c’era voluta una crisi personale per mettermi in moto e farmi aprire davvero agli altri, è stata una nuova crisi, questa volta mondiale, a riportarmi al chiuso, all’ombra dei miei pensieri, che peraltro mai si placano.

E, in questo tempo dilatato, alcune riflessioni hanno trovato lo spazio necessario per diventare lezioni. A partire, ad esempio, da uno sguardo su chi si è preoccupato di sapere come stessi e chi, invece, è affondato ancor di più nell’abisso dell’oblio, scegliendo di uscire di scena, dopo una comparsa a dir poco mediocre.

Essere grati per quello che si ha non significa non notare gli sgarbi e le sfide di tutti i giorni. Ma trovare un modo per trasformare l'amarezza e il dispiacere in carburante.

Dolersi per chi non ci vuole essere mi sembra, ora, inutile quanto pensare di poter guadare un fiume contro corrente. Chi scompare non c’è mai stato. Ma, soprattutto, non è evidentemente diretto dove stiamo andando noi. Non è forse questo il bello del mondo? Che è grande abbastanza da permettere ad ognuno di trovare il proprio spazio? 

E allora cerchiamo di capire qual è, il nostro, e poi rivendichiamolo.

Quando il proprio cammino corre parallelo a quello di altri, è quella l’eccezione. E’un evento da celebrare, non la norma.  Una presenza di cui fare tesoro, un sentire comune, un intendersi pur essendo diversi. Solo se arrichisce, allora è compagnia.

Ma il resto del tempo, non siamo soli. Siamo con noi e con la nostra meta, e l’amore per il percorso e gli sguardi di intesa che scambieremo con chi, pur non avendo lo stesso tragitto, ci vede e ci riconosce, per un minuto o una manciata d’anni.

Gratitudine è anche scremare, accettare e proseguire. Senza che l’amarezza iniziale ristagni. In comunione con chi resta ma non in guerra con chi parte. Fedeli a se stessi, liberi, fiduciosi.