La collana di perle di Giulia: The Big D

La collana di perle di Giulia: The Big D

  • di Redazione
  • 7 Giugno 2019
  • La collana di perle di Giulia

Ritorna l’attesissimo appuntamento del venerdì con la rubrica "La collana di perle di Giulia"

Ogni singola esperienza che abbiamo vissuto ci ha influenzato in qualche modo.  Nella maggior parte dei casi, la prassi vuole che, dopo averla vissuta, la si superi, volenti o nolenti.  La Vita la sorpassa, avvolgendola come l’acqua inghiotte un sasso lanciato su un lago. È così normale che spesso neanche ci soffermiamo a pensarci. Va così. Fino a quando qualcosa non va più.

È fin troppo facile intuire a cosa io stia pensando, per quanto riguarda la mia vita. Perché chi mi conosce sa molto bene quale, tra le mie sfide passate, sembri avermi definita. Non ho mai davvero smesso di parlarne, o di farvi riferimento perché ogni giorno mi accorgo di qualche eredità, positiva o negativa, fisica o mentale lasciata dal tumore. È un dialogo aperto, più che il racconto di un evento passato.

Il fatto è che la prima volta che ho avuto la certezza di essere viva avevo 33 anni

Fino ad allora, certo, avevo respirato, riso, pianto, amato. Avevo sperimentato una gamma di emozioni piuttosto vasta. Eppure, so per certo che non avevo ancora raggiunto la consapevolezza che l’essere vivi merita.

Molto banalmente, non ho capito quanto fossi viva fino a che non ho rischiato di morire. E per accedere a questa improvvisa rivelazione, non ho dovuto muovere neanche un muscolo. Da un minuto all’altro, qualcosa è stata diversa, come se il regista della mia diretta avesse deciso di cambiare il filtro della telecamera usato per inquadrarmi.

Ora però, che io lo voglia o no, la morte, (la mia, quella degli altri) è un pensiero che mi accompagna costantemente. So che questo, al pari del cancro, resta ancora un tabù. Contiamo i morti delle guerre, degli incidenti, delle bombe per abitudine, quasi noia ormai, ma ancora non sappiamo come affrontare l’argomento se riferito a noi, o a chi amiamo.

E, anche se per fortuna ho smesso di usare questo concetto come termine di paragone per sminuire qualunque nuova difficoltà mi capitasse, non parlarne mi sembrerebbe anacronistico, ipocrita.

Forse, come mi auguro, questa è una fase, l’elaborazione di un boccone troppo grande che non ho ancora digerito. O forse mi si è affezionata da quando l’ho guardata dritta negli occhi come se non la conoscessi, come se non riconoscessi in lei l’ignoto a cui ho dovuto affidare mio padre e centinaia di affetti. Non le capiterà spesso che qualcuno le dia udienza senza giudicarla, mi son detta.

Per ora, non ho risposte nè la sfrontatezza di non temerla.

Così, come ho spesso fatto, mi affido a Gibran che, parlandone, dice: "Nella profondità dei vostri desideri e speranze, sta la vostra muta conoscenza di ciò che è oltre la vita. E come i semi sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera."

Ci confido nei miei sogni, certo, e sento che il mio cuore sboccia a primavera. Ma questa mia stagione è terrena, gioiosa, palpabile, come lo sono le mie speranze. E se gli antichi consigliavano di preparare la guerra a chi volesse vivere in pace, io continuerò a provare ad accettare questa presenza oscura finchè non l’avrò inquadrata, ma tenendola a debita distanza. Perché ogni filo d’erba dei miei prati e ogni neve dei miei inverni sono e sempre saranno soltanto un inno alla vita.