Healthy boundaries
- di Redazione
- 27 Settembre 2024
- La collana di perle di Giulia
L’amica Giulia Muntoni ci invita a guardare dentro noi stessi per spiegarci cosa significhi volersi bene e farsi del bene
Non aspettate di avere una malattia seria per tutelare i vostri "confini". Non fa bene a nessuno, ma soprattutto non fa bene a voi.
Ci hanno insegnato che bisogna porgere l’altra guancia ma secondo me c’è un’enorme differenza tra l’essere gentili e il dimenticarsi del proprio bene. E io questo l’ho imparato solo dopo DUE tumori.
Esiste un egoismo sano che nulla ha a che fare con l’ignorare i bisogni degli altri, ma ha tutto a che fare con la nozione che soltanto un essere intero può aiutarne uno a pezzi.
E dovremmo sempre essere noi a stabilire di cosa abbiamo bisogno per poter restare interi, senza convenienti formalismi, mentre ci imponiamo di non nuocere gratuitamente.
C’è una scrittrice africana che adoro e che esprime perfettamente quello che intendo:
"Per favore, non essere cordiale. Sii gentile perché la gentilezza è una misura della nostra umanità, ma non essere cordiale. Cordiale significa voler piacere, sempre. Cordiale significa mettere a tacere le verità scomode. Cordiale significa scegliere di stare sempre a proprio agio. Cordiale significa lasciare andare il coraggio. Cordiale significa parlare di pace ma non di giustizia. "Cordiale" non rifarà il mondo e c’è così tanto nel nostro mondo che ha bisogno di essere rifatto."
Questo non significa diventare ostile ma piuttosto sapere quando vale la pena di lottare per ciò che davvero conta, per salvaguardare quelle parti di noi che non possono accettare compromessi.
Una cosa è tutelarsi coraggiosamente, un’altra vivere in guerra.
Il conflitto, così come l’amore, non è una scienza esatta. Anzi. Ci si pensa sempre, sbagliando, come ad una semplice opposizione. Da un lato il vincitore, dall’altro il vinto. Ma la verità è che, a ritrovarsi in guerra, ci perdono tutti, sempre e comunque.
Essere in conflitto è come inciampare sulla strada verso l’armonia. È negarsi il diritto alla serenità, e negarlo agli altri. Un momento di cecità, in cui si crede di poter punire l’altro ma in realtà si insulta la propria fragilità. In un attimo di onnipotenza si ignora la finitezza della propria esistenza, l’inefficacia di qualsiasi azione che non sia dettata dal bene comune. È come conficcarsi una punta nel fianco e stupirsi di provare dolore.
Ma non c’è da meravigliarsi, visto che tutto è uno. Una cosa, però, la possiamo fare: possiamo fare un passo indietro e non alimentare lo scontro. Il conflitto richiede per forza due fazioni e diventa vuoto senza una controparte. Ci si sottrae alle dinamiche della rabbia, non per scappare, non per paura o per superiorità. Allontanandoci affermiamo di non identificarci con l’ostilità, non è quello il modo di risolvere la situazione, non il nostro, almeno.
Esiste sempre un altro canale, una strada che assomigli al dialogo, se pure scomoda e solitaria. In questo mondo di parole scagliate come macigni e di rumore assordante, la vera rivoluzione è l’Amore, calmo e paziente.