Durante
- di Redazione
- 20 Settembre 2024
- La collana di perle di Giulia
La rubrica dell'amica Giulia Muntoni si arricchisce di una preziosissima perla. Con grande orgoglio vi proponiamo il racconto breve "Durante", premiato con una menzione speciale in occasione della XVI edizione del concorso letterario nazionale "Donne sopra le righe".
Un giorno guaderò a questo periodo della mia vita e la lettura delle mie emozioni, delle paure, di quello che ogni mia azione sembra indicare su di me, mi sembrerà così palese
"Dopo" è tutto più chiaro.
Così è stato dell’anno in cui ho scoperto di avere un tumore e poi, allo stesso modo, degli anni immediatamente successivi, in cui la "scia" di motivazione conosciuta all’apice della tensione si è, a poco a poco, dileguata.
Se mi fossi fermata a trarre conclusioni dopo quel blocco di anni, avrei commesso l’errore madornale di giudicare una parte anzi che guardare il tutto.
Parlo come se non l’avessi fatto, non so perché. Meglio riformulare: giudicare me stessa mentre mi percepivo cambiare negli anni dopo il tumore, è stato un grave errore, a cui sto cercando di porre rimedio.
Eppure, io stessa l’avevo predetto: sapevo che ci sarebbero stati "infiniti modi" in cui mi sarei persa per poi ritrovarmi. E cosa ancora più importante, sapevo che "le due cose sarebbero spesso capitate contemporaneamente".
Poi è arrivata la seconda diagnosi: tumore all’altro seno, questa volta con metastasi. Allora, tutto quello che sapevo sull’universo cancro e sul mio posto al suo interno, è stato stravolto. "La morte, come l’amore, cambia tutto"
E spesso, infatti, mi chiedo come si possa conciliare la paura della morte, che la malattia continua a insegnarmi, con la gioia di vivere che ho sempre avuto. E ammetto, non l’ho ancora capito. Ogni giorno è un campo di battaglia tra queste due forze, ogni giorno sono tentata di restare a terra, perché mi sembra che il nichilismo abbia acquisito argomenti che prima non aveva. Ma ogni volta, infallibilmente, qualcosa di testardo, ancora prima che di razionale, mi fa tirare su.
Non esiste più un "dopo" per me, che devo continuare la terapia a oltranza, è questa la verità. Esiste solo un "durante". E nel durante possiamo solo fare del nostro meglio, non pensare che qualcosa debba accadere perché arrivi la felicità. La mia felicità è imperfetta. La mia felicità è vera perché è imperfetta. La mia felicità è accettazione.
La malattia ti costringe a fermarti e ad ascoltare. Per lo più te stesso. È allora che, tra mille caotiche rivelazioni, scopri il potere rigeneratore della nuda verità. Ti spogli delle versioni della tua storia che ti eri sempre raccontato e taci. Accetti di stare per qualche tempo seduto, stanco, quasi sconfitto, a guardare negli occhi l’essenza stessa dei tuoi respiri. Quando arrivi lì, prega per una sola cosa: prega di avere coraggio. Tutto il resto arriverà nei suoi modi e nei suoi tempi, che sono poi quelli giusti. Ma tu trova il coraggio. Di essere nudo e fermo e perfetto nella tua paura. Di restare immobile a sorridere alle mille anime che di certo ti terranno compagnia dentro il silenzio. Se lo farai, quel tempo sospeso sarà la tua vera genesi.
C'è stato un momento in cui tutto è rinato, per me: si è come illuminato: è stato quello in cui ho capito che non possiamo essere soltanto testimoni di quello che ci succede perché in realtà siamo molto di più. Siamo testimoni con una scelta; la scelta di reagire in maniera produttiva a quello che abbiamo davanti. E, soprattutto, a quello che non abbiamo. Allora sì, che ci potremo definire liberi.
Cose che so di dover accettare al momento:
la nostalgia, quasi lacerante, con cui mi manca mio padre nella quotidianità.
L’incertezza sulla mia salute. Lo stesso scudo, la terapia, che mi ripara da nuove metastasi, è responsabile di effetti collaterali che impattano pesantemente sulla qualità della mia vita. Meglio grassa, cieca, debole e insonne che morta, giusto? Sì, ma questo non sempre riesce a farmi stare meglio.
La fatica nel mettere a fuoco il mio piano B, che includa la mia missione e il mio benessere in maniera esponenzialmente più alta di adesso.
"La normalità è una strada lastricata: è comoda per camminare, ma non vi cresce nessun fiore." Van Gogh lo sapeva. Che per ottenere risultati straordinari bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco, di rischiare di più, rischiare il rifiuto, l’incomprensione, la solitudine.
Io, del resto, non mi sono mai aspettata che le cose fossero facili. Soltanto che ne valesse la pena.
Capisco, ora, che non avevo nessuno diritto di aspettarmelo. Siamo noi a dover fare tutto, affrontare le cose e fare in modo che abbiano valore, che lascino una traccia più significativa della sola cicatrice.
E questo non è ingiusto, è solo il modo in cui va. E se ce ne facciamo una ragione, davvero permettiamo a fiori bellissimi di sbocciare sull’asfalto. Uno su tutti, la gratitudine. Gratitudine anche per quei momenti di confusione e dolore in cui pensiamo che non abbia senso, essere grati. Cosa si può salvare, di momenti così?
La lucidità con cui ci connettono al "qui" e "ora", per esempio, che poi è il segreto della serenità. Una lucidità che nella mia vita "precedente" non conoscevo.
In questa strada su cui sono avviata, i tratti al buio sono più di un paio e io mi sento tutt’altro che "risolta". Ma ho ancora molto da dire, da fare, da rischiare.
Perciò non auguratemi bonaccia. Lo voglio sentire quel vento mentre rivolta le mie vele, mentre mi sfida e sprona la mia motivazione. Non sarà tanto la mia sopravvivenza a definirmi quanto il coraggio con cui avrò tentato di non soccombere.