Un diario per Federico - La prima notte a casa
- di Redazione
- 24 Gennaio 2019
- Ho smesso di pianificare...ho iniziato a vivere!
Torna l'appuntamento bisettimanale con la rubrica curata dalla nostra Daniela Cadeddu dal titolo "Ho smesso di pianificare...ho iniziato a vivere!"
"Ho immaginato la rubrica come un diario per mio figlio, per poter fissare nel tempo le emozioni che ho provato in ogni esperienza di vita che mi ha portato ad essere la persona che sono in questo momento. Passo dopo passo, dalla diagnosi ad oggi, ripercorro quel che abbiamo vissuto, nella speranza che un domani lui possa capire ciò che insieme abbiamo affrontato e superato. Voglio mettere nero su bianco i ricordi affinché non sbiadiscano."
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L’estate del 2015 fu un disastro in termini di collegamenti aerei fra la Sardegna e il resto d’Italia. Nonostante mi avessero operata a metà agosto, riuscii ad arrivare a casa solo nei primi giorni di settembre. La sera del mio rientro Matteo dovette lavorare e una coppia di amici speciali mi venne a recuperare in aeroporto.
Federico mi aspettava a casa con la nonna: non riesco a trovare parole adeguate per descrivere le sensazioni che provai… Mi inginocchiai e corse verso di me senza piangere, mi fissò con il visino malinconico e iniziò ad accarezzarmi una spalla come fanno gli adulti quando cercano di consolare un amico in difficoltà. Non potevo prenderlo in braccio a causa delle ferite, mi prese per mano e mi portò nella sua cameretta. Sapeva dire pochissime parole, ma poteva comunicare tutto ciò che desiderava. Mi consegnò il suo coniglietto compagno di nanna dandogli un bacio e mi disse: "Mami bea ninna.." Mi strinse il cuore come nel giorno della sua nascita.. Come poteva una creatura così indifesa e piccola trasmettere tanta forza e grandezza?!
In disparte, quasi in difficoltà per paura di rubare quel momento a Federico c’era mia madre, "iaia" Gina, quella piccola grande roccia nugoresa… Quel pilastro portante delle nostre giornate che ha stravolto la propria vita, lasciando Nuoro da un giorno all’altro per correre ad occuparsi di noi. Una nonna dall’aspetto minuto, con un’età non proprio tenera (i 75 li avevamo festeggiati quell’anno). Una donna che pensavo non potesse affrontare la perdita del marito e che invece era pronta a traslocare per donare serenità al nipotino durante il mio percorso di cura. Avrei voluto proteggere mia madre da ogni dolore, la vita a volte è beffarda e impertinente: il più grande è arrivato proprio da parte mia! Ma oltre ogni aspettativa ci siamo ritrovate ad essere più forti della malattia.
Quella notte parlammo poco. Ero esausta per il viaggio, volevo solo respirare il profumo di casa sdraiata nel mio letto e recuperare le forze.
Matteo arrivò molto tardi. Federico ed io eravamo già crollati uno addosso all’altra.
I medici mi avevano sconsigliato di dormire con loro per qualche giorno. Lo ammetto, disobbedii, ma grazie a Dio con il passare dei giorni andò tutto bene, fino alla completa guarigione delle ferite (nonostante la mia piccola peste assestasse qualche bel calcetto durante il sonno!)
Ero a casa, avevamo iniziato la nostra partita contro il cancro: io avrei giocato in attacco insieme ai medici e la mia famiglia mi avrebbe protetto in difesa. L’operazione segnò il nostro primo goal, ma non bastava, occorreva giocare fino ai supplementari per portare a casa la vittoria!