Otto e venti del mattino
- di Redazione
- 21 Marzo 2019
- Ho smesso di pianificare...ho iniziato a vivere!
Torna l'appuntamento bisettimanale con la rubrica curata dalla nostra Daniela Cadeddu dal titolo "Ho smesso di pianificare...ho iniziato a vivere!"
L’arrivo del cancro mi ha portato inevitabilmente a compiere una sorta di lavoro di ricerca. Non intendo l’inseguimento di spiegazioni scientifiche e di cause biologiche legate all’insorgere della patologia, quella è una parte che affido agli specialisti, non mi compete!
Parlo della ricerca di bisogni e desideri trascurati , rimandati, dimenticati.
Questa esperienza mi ha portato a vivere una sorta di sdoppiamento: da un lato ha attivato una profonda sofferenza interiore; in parallelo mi ha spinto verso una ricerca di senso, di maggiore consapevolezza di me stessa.
Mi ha quasi trascinato a fondo e giorno dopo giorno mi ha costretto ad imparare quali fossero i mezzi per risalire e mi ha insegnato ad individuare le reali zavorre della mia vita.
È servita una diagnosi violenta per svegliarmi da una sorta di torpore emozionale nel quale mi rifugiavo dal giorno in cui vidi mio padre per l’ultima volta (nel maggio del 2011). Fino a quel momento non avevo mai accettato l’idea di poter vivere il mio dolore, mi nascondevo dietro responsabilità e priorità che mi autorizzavano a reprimere le emozioni.
Si nasce con determinate attitudini e propensioni, con il tempo possono diventare punti di forza, ma talvolta anche gabbie virtuali all’interno delle quali ci rifugiamo inconsapevolmente. Per quanto mi riguarda ho sempre avuto un senso del dovere quasi sfibrante, non solo sul lavoro, ma anche nel rispetto dei ruoli familiari.
Essere figlia, sorella maggiore, lavoratrice organizzata e successivamente moglie e madre erano le definizioni che mi autorizzavano a mettere in secondo piano la mia esistenza.
Avvenne esattamente questo anche quando salutai il mio Babbo. Provai una spaccatura talmente dolorosa e grande che mi imposi subito di aggiustarla in maniera posticcia con i mezzi che avevo a disposizione. Dovevo zittire quella terribile sensazione di impotenza e rinchiusi tutto sperando che dedicarmi ai miei "ruoli" mi avrebbe protetto dalla sofferenza, non mi avrebbe lasciato spazio e tempo.
La malattia mi ha costretto a non rimandare più. Mi ha consegnato le chiavi di quei cassetti del cuore che non avevo il coraggio di aprire e riordinare.
È stato così che una mattina guardai negli occhi un ritratto di mio padre e gli urlai quanto avessi paura, quanto la sua mancanza mi avesse logorato fino a quel momento, quanto mi sentissi fragile. Era il giorno del secondo compleanno di Federico, avevamo deciso di festeggiarlo a Nuoro, proprio nella casa dei nonni.
Passai una buona oretta a confidarmi con lui, un misto fra preghiera e ricerca di segni della sua presenza al mio fianco. Poi mi lasciai travolgere dai festeggiamenti per Federico e mentre tutti cantavano mio marito mi sussurrò una frase: "Ricordi quanta fatica ti è costato questo giovanotto? E poi alle otto e venti del mattino di due anni fa ti ha ripagato di tutti gli sforzi!"
Otto e venti del mattino….Hai capito bene caro Babbo, tuo nipote ha deciso di presentarsi al mondo esattamente all’ora che era stata scelta da te per salutarci un’ultima volta. Federico ama guidare come te, ha i tuoi capelli, la tua testardaggine e la tua emotività… Federico mi ha spiegato che vivi sopra le nuvole e controlli se fa il bravo, insieme a Gesù Bambino e a Babbo Natale.
Ora ho capito anche io Bà, da lassù non ti sfuggirà nulla per proteggere il mio bambino.