Campo Famiglie - Conclusione

Campo Famiglie - Conclusione

  • di Redazione
  • 31 Ottobre 2019
  • Ho smesso di pianificare...ho iniziato a vivere!

Arriva la terza e conclusiva puntata del racconto Campo Famiglie scritto dalla nostra amica Daniela Cadeddu

Qualche settimana fa ho iniziato a raccontare le esperienze vissute durante il campo famiglie al quale abbiamo partecipato alla fine di agosto. È stata una sorta di vacanza alternativa che mi ha fatto affrontare prove fisiche importanti, che non immaginavo di poter superare nemmeno prima della malattia. Mi sono dovuta ricredere su tanti limiti che ritenevo difficilmente sormontabili. Riporto, parola per parola, uno dei pensieri di benvenuto scritti per noi da l'equipe di campo (il gruppo di famiglie e di religiosi che ha curato minuziosamente tutta l'organizzazione): "Non potrai vivere niente, se non lo vorrai, se non aprirai tu per primo la porta dell'entusiasmo, chiudendo invece quella della stanchezza, della diffidenza e della ritrosia". Detto così sembra anche facile e proprio con questo spirito ho tentato di vivere ogni passaggio. Ho dovuto fare i conti con qualche intoppo, lo sconforto stava dietro un angolo, pronto a bussare per mettermi i bastoni fra le ruote. Alla fine non poteva vincere lui. Ricordo una mattina in particolare, mi pare fosse la quinta.  Avevo la temperatura abbastanza alta (mi capita spesso quando metto alla prova le energie) e un variegato elenco di fastidi che accompagnano spesso il mio quotidiano. Non volevo arrendermi, ma la febbre mi rendeva meno lucida e con l'umore non proprio solare (sono stata più affabile durante le doglie del parto!)

Nelle giornate precedenti avevamo già affrontato delle camminate importanti, una escursione in quota a 3000 metri. Il tempo era dalla nostra parte e ci permetteva di vivere all'aperto anche i momenti di preghiera e quando possibile la celebrazione della santa messa nel mezzo del verde meraviglioso della Val di Sole. Il meteo di quella quinta giornata prometteva bene. Ci aspettava l’attraversamento del ponte sospeso sopra la Cascata del Ragaiolo, nel Parco Nazionale dello Stelvio. (Perfetto per me che soffro di vertigini anche sopra una scala a tre pioli… ma dove volevo andare?!) Ormai lontani dall'hotel, pensai di aver raggiunto il limite. Il gruppo avanzava abbastanza spedito, mentre io mi sentivo totalmente fuori controllo. Stavo male, non sentivo lo slancio nemmeno per fare un passo, solo tanta voglia di piangere e arrabbiarmi per quello che stavo provando. Eravamo rimasti indietro e pensai che ormai avremmo passato la giornata ad aspettare il rientro di tutti gli altri. Niente di più sbagliato. Tempo pochi minuti, mi accorsi che non eravamo assolutamente soli. I più esperti di montagna tenevano sotto controllo i movimenti di ogni famiglia ed erano pronti a fornire sostegno in tutti i passaggi, soprattutto quelli più difficili. Vedere delle persone (quasi sconosciute) tornare indietro per noi, preoccuparsi per le mie lacrime, assicurarsi che mio figlio fosse al sicuro, pronte a donare il loro tempo e il loro aiuto senza riserve e soprattutto senza alcun tipo di obbligo è stato per me come una gigante iniezione di energia vitale. Era l’ennesima metafora che la vita mi stava presentando: faticherai per arrivare a quel ponte sospeso. Non ci arriverai da sola. Quando sarai lì davanti, sarà ciò che porti dentro a farti attraversare. La fine del ponte sarà un nuovo inizio, sostenuto da chi gioirà con te e per te.

HO ATTRAVERSATO IL MIO PONTE SOSPESO