Una roccia di pietra pomice

Una roccia di pietra pomice

  • di Redazione
  • 29 Gennaio 2021
  • Di sole, di ombre, di Mari

Ritorna l'appuntamento bisettimanale con la rubrica curata da Marisa Guidetti che ci racconta un delicato momento dovuto alle terapie

"Sei una roccia!" Me lo disse per la prima volta mia cognata e commentai "Si, sono una roccia di pietra pomice. Ottima per una pedicure". Una mia amica, qualche volta, mi chiama "diamante". Le rispondo con l’emoji di un sorriso e sottolineo "l’importante è che sia certificato ed etico". Faccio volontariato per i piccoli prematuri delle terapie intensive neonatali che vengono definiti "piccoli guerrieri". Talvolta mi chiamano "la grande guerriera che lavora per i piccoli guerrieri". Sapere che ci sono scriccioli di meno di un chilo che combattono per la loro sopravvivenza è stato più di una volta uno stimolo per me. Se combattono loro allora a maggior ragione lo faccio io. Ma i cappellini e i turbanti con cui ho coperto la testa pelata non sono elmi e i ferri circolari con cui faccio i lavori per i piccoli, non sono lance.

Non mi ritengo assolutamente speciale, tutt’altro. Semplicemente penso che ci siano due modi di agire: bene e male. E penso che se si agisce al meglio delle proprie possibilità allora si agisce bene e va bene anche se si sbaglia. Io cerco di agire bene. Purtroppo, spesso, a discapito di me stessa, ma questo è un mio limite. Quando mia cognata mi disse che ero una roccia, eravamo da lei nelle Marche. Mi avevano diagnosticato la prima recidiva ed avevo già fatto la prima seduta di chemioterapia. La seconda l’avrei avuta ventotto giorni dopo e, in quell’intervallo di tempo, andammo a trovare il fratello di mio marito, che vive nella campagna marchigiana con la famiglia. Non era decisamente il momento opportuno per viaggiare. Infatti mi ritrovai dopo pochi giorni con la febbre a 39,5° e passai ferragosto a letto contattando medico e oncologi via mail per avere indicazioni sulla terapia… Ma quel viaggio, dopo la notizia della recidiva, serviva sia a me che a mio marito.

Non avevo detto a mia madre che avevo ricominciato la chemio e non le dissi nemmeno che mi ero ammalata in viaggio. La chiamavo raccontandole del trattore che avevo guidato, dei quattro nipoti che erano uno spasso e delle tagliatelle della nonna. Le dicevo che stavo passeggiando nell’orto quando invece ero a letto imbottita di antibiotici e tachipirina. Mia madre in quei giorni si sentiva molto sola ed io facevo quello che potevo, nelle mie condizioni, per farla stare il più possibile tranquilla. Il giorno prima della partenza dalle Marche, trovai nel cuscino alcuni capelli. Ecco qui, stavano cominciando a cadere. Nel giro di pochi giorni sarei stata una palla da biliardo.

Non toccai i capelli per due giorni, il tempo di farmi vedere da mia madre e dirle che avevo ricominciato la chemio. Le raccontai che quando avevo finito la prima sapevo già che l’avrei dovuta ripetere, ma non le avevo detto nulla per non farla preoccupare. Mamma, ormai ultra ottantenne, non non so quanto capì o quanto ci credette. Rientrata a casa ficcai la testa sotto l’acqua tiepida e cominciai a massaggiare e far cadere i capelli. Non ci volle molto per somigliare a Smigol. Ecco, in quell’occasione mi sarei potuta sentire una roccia. Ma chemio o non chemio, non è ovvio non far preoccupare una madre anziana? Credo di aver agito bene. Non in modo speciale, semplicemente bene.