La libertà di volare

La libertà di volare

  • di Redazione
  • 31 Maggio 2022
  • Amor vincit omnia

La cara Daniela Zedda ci parla del dono per lei più prezioso, il dono del tempo

DISCLAIMER: Vivi, corri per qualcosa, corri per un motivo che sia la libertà di volare, o solo per sentirti VIVO!

Chissà perché da quando mi sono ammalata ho come l’impressione che il tempo passi più veloce, scivoli via leggero, come granelli di sabbia tra le dita, proiettando davanti ai miei occhi fotogrammi di un futuro che va componendosi di giorni e di attimi che si susseguono, uno dietro l’atro, creando scenari di normalità, che assumono quel tradizionale sapore dolce amaro di VITA VISSUTA. E, così, anche quest’anno è arrivato il giorno del mio compleanno…e sono 45. Non ho mai nascosto la mia età. L’età è solo un numero, e l’avanzare degli anni è un dono non concesso a tutti. E, nella mia situazione, oggi non riesco a fare a meno di sorridere con ancor più entusiasmo perché…SONO ANCORA QUI. A due anni dalla diagnosi, sono ancora qui, grata del dono che mi è stato concesso, nonostante tutto, perché non era una certezza, e non era certo qualcosa di scontato poterci arrivare.

Una giornata iniziata proprio allo scoccare della mezzanotte, con una piccola sorpresa: dal buio di una cameretta due occhietti emozionati in attesa, due piccole candeline a illuminare con luce fioca la stanza, i palloncini, una lettera e un piccolo alberello di legno, in cui sui rami, al posto delle foglie, erano state attaccate tante piccole lettere colorate a comporre la parola CORAGGIO, quello che abbiamo cercato di avere un po' tutti in questa circostanza.

Una giornata proseguita poi in ospedale, con l’esito negativo del necessario tampone, per potervi accedere, scritto su un foglietto rosa, un prelievo e l’iniezione di un farmaco. Un farmaco che è vita, che mi regala giorni, ore, forse tanti anni ancora da VIVERE. Un farmaco che oggi, come ogni giorno, mi regala TEMPO.

E poi, così come accade ogni anno, puntuale come un orologio svizzero, il classico e immancabile racconto di mia mamma, preciso e ricco di particolari, neanche fosse accaduto il giorno prima, che, esordisce sempre con la frase "Eh, io me lo ricordo quel giorno! Sei nata alle 7 di mattina e quell’anno cadeva di giovedì, proprio come quest’anno. Me lo ricordo perché la sera prima c’era un importante partita di Coppa dei Campioni, Liverpool - Borussia e zio Giovanni era venuto a vederla a casa, perché lui non aveva ancora la TV."  NON AVEVA LA TV. Oggi sarebbe impensabile e strano pensare a una casa senza la TV.

SEMBRERA’ STRANO EPPURE, QUESTO ACCADEVA NEGLI ANNI 70, nei piccoli paesini del centro Sardegna, nelle famiglie semplici e modeste.

"Cominciai a sentirmi molto stanca e andai a letto presto, e poi alle 4 di mattina le doglie. Zio Giovanni corse veloce a chiamar l’ostetrica. Si, l’ostetrica per accompagnarmi a Cagliari in ospedale, e a cercar una macchina!"

Eh, si, perché non tutti avevano la macchina, e ci si ritrovava in situazioni come questa, in piena notte a dover bussare alla porta del vicino o dell’amico di famiglia, per correre in fretta e furia all’ospedale affinché una nuova vita venisse al mondo in tutta sicurezza, accompagnati dall’ostetrica del paese che supportava e sosteneva la mamma, durante tutto il viaggio. C’era tanta solidarietà, spirito di comunità, collaborazione e mutuo aiuto sincero, al tempo, e accadeva spesso che ci si aiutasse reciprocamente, senza nulla volere in cambio.

SEMBRERA’ STRANO EPPURE, QUESTO ACCADEVA NEGLI ANNI 70, nei piccoli paesini del centro Sardegna, nelle famiglie semplici e modeste.

Anzi, in realtà, tante ancora partorivano in casa, ma, era sicuramente più sicuro, per madre e figlio farlo in ospedale. E così si partiva, alla volta di quel viaggio che li avrebbe visti ritornare con una nuova vita tra le braccia.

E, quel giorno, mia mamma partì accompagnata da mio zio, perché mio babbo non c’era, era a migliaia di chilometri di distanza, a lavorare in Germania. Uno dei tanti che, in quegli anni, fu costretto a separarsi dalla famiglia per poterle garantire un sostentamento e un futuro dignitoso, NONOSTANTE IL DESIDERIO DI ESSERCI, per quell’ennesimo figlio in arrivo.

SEMBRERA’ STRANO EPPURE, QUESTO ACCADEVA NEGLI ANNI 70, nelle famiglie semplici e modeste, quando molti padri di famiglia, emigravano per lavoro all’estero, costretti, talvolta a lasciare in patria, FAMIGLIA, AFFETTI…E CUORE.

E fu proprio questo il motivo per cui mio babbo non riuscì a vedere i primi attimi di vita della sua prima e unica figlia femmina, dei quattro che ebbe. Eh, si..l’unica femmina, che tutta la famiglia accolse con stupore e incredulità, perché in realtà nessuno si aspettava sarebbe stata una femmina. Si aspettavano l’ennesimo maschietto, ma allora, il sesso del nascituro veniva svelato solo dopo il primo vagito.

SEMBRERA’ STRANO EPPURE, QUESTO ACCADEVA NEGLI ANNI 70, quando ancora, il sesso del nascituro rimaneva un mistero fino alla fine.

A casa mia questi racconti ritornano puntuali ogni anno, per il compleanno di ogni figlio. Quello di mia mamma è un tuffo nel passato, quel passato talmente importante e significativo da portarla a rievocarlo, con un pizzico di nostalgia. È in questo modo che le persone anziane tramandano con delicato orgoglio il loro vissuto, racconti di una vita a volte non facile, fatta di semplicità, di gioie e di dolori, ma anche di momenti indimenticabili. Probabilmente, questi sono tra quelli, quelli che Totò chiamava "MOMENTINI MINUSCOLINI DI FELICITÀ", quelli in cui si dimenticano le cose brutte, e l’attenzione si sposta solo sulle piccole grandi gioie della vita. Seppur oramai conosca questa storia a menadito, nei particolari, l’ascolto pazientemente, sempre attenta, e lei sorride di un nuovo compleanno arrivato, e di poter per l’ennesima volta raccontare come si sono svolti i fatti, perché poterlo fare significa che la vita ci ha fatto il dono di poter condividere ancora del tempo insieme.

Questo racconto fa parte della mia intramontabile normalità, quella normalità che sta tornando lentamente nella mia vita, nonostante tutto. E sono arrivati così i 45 anni. Quello che  mi lascio alle spalle è stato un anno ricco di emozioni, sicuramente non facile.

È stato l’anno del "Beh, la situazione è questa. Punto. Rimettiamoci in piedi e proviamo a costruire qualcosa, fino a quando mi viene concesso il tempo per poterlo fare."

L’anno precedente la mia vita si era come FERMATA, SOSPESA in attesa della presa di coscienza e dell’accettazioni del gravissimo evento che l’aveva travolta, come se avessi preso una sorta di anno sabatico per POTER ELABORARE L’INFORMAZIONE MALATTIA, e l’ho vissuto con l’intensità dell’ "Oddio, il tempo scorre, il tempo stringe..non c’è tempo, non c’è tempo..", in stile Bianconiglio, che corre trafelato e frenetico, senza neanche guardarsi intorno, rischiando di perdersi tante cose importanti. L’onda ormai si era pienamente abbattuta sulla mia vita, e questo secondo anno, l’ho vissuto con la consapevolezza del "Siamo ancora qui, c’è ancora il tempo di fare qualcosa, di farlo bene, di VIVERE APPIENO!"

E allora HO TROVATO IL CORAGGIO DI SALTARE, DI RIMETTERE IN MOTO L’INGRANAGGIO, DI RIPRENDERE FIATO E PROVARE AD APRIRE LE ALI, PER VOLARE. Sono cambiata rispetto al passato, com’è naturale che sia, ho cominciato a vedere le cose con un maggiore distacco, a farmele scivolare addosso, a evitare discussioni inutili, che non avrebbero portato da nessuna parte…e ho continuato a volare sempre più un alto, per poi CALARE E PLANARE LEGGERA per osservare meglio ciò che mi accadeva intorno, e chi mi stava intorno. E così facendo ho notato particolari che inizialmente, forse, mi erano sfuggiti, o che semplicemente non ero in grado di notare, perché ancora troppo spaventata e concentrata sul mio dolore, e ho cominciato a osservare LA FRAGILITÀ DI CHI MI STAVA INTORNO, di chi è stato forte per me e quanto me, per tanto tempo, nascondendo i suoi dolori e le sue paure dietro una corazza di forza e certezze dichiarate, ma non realisticamente possedute. E lì capisci bene che, malato o non malato, in quel momento spetta a te sostenere, confortare, consolare. Portare serenità e pace nel cuore altrui.

SIAMO TUTTI FRAGILI, e tutti abbiamo diritto di esserlo di fronte alle dure prove della vita. LA SPERANZA SEMPRE VIVA E ACCESA, LA RESILIENZA NON SI DEVONO CONTRAPPONE ALLA FRAGILITÀ DELL’INDIVIDUO, non la devono soffocare, ma la devono ACCOGLIERE E LENIRE, CONFORTARE, perché la fragilità rappresenta la delicatezza della natura umana, ed è il punto di partenza da cui si può ricostruire un futuro possibile.

E, anche accettare la propria e l’altrui fragilità fa parte di questo percorso, perché garantisce a ognuno di noi LA LIBERTÀ DI ESSERE SE STESSI.

Quest’anno molte persone hanno scelto di regalarmi qualcosa che riportasse il simbolo dell’albero della vita. E…io l’ho sempre pensato: mai nulla accade è per caso. L’ALBERO DELLA VITA È SIMBOLO DI NASCITA E RINASCITA. Il mio albero della vita in questi ultimi due anni, ha perso tante foglie, si è spogliato, ma poi si è rigenerato, e nell’intreccio dei suoi rami, chiamati esperienze, sono spuntate nuove foglie, chiamate emozioni, che gli hanno ridato vita, affinché possano spuntare, un giorno, nuovi fiori e nuovi frutti rigogliosi da poter raccogliere.