Coraggio, lasciare tutto indietro e andare, partire per ricominciare!
- di Redazione
- 12 Aprile 2022
- Amor vincit omnia
L’amica Daniela Zedda, volitiva e caparbia, non smette mai di stupirci regalandoci un racconto colmo di forza e speranza
DISCLAIMER: "Coraggio, lasciare tutto indietro e andare, partire per ricominciare, che se ci pensi siamo solo di passaggio, e per quanta strada ancora c’è da fare, amerai il finale!"
Dopo la diagnosi la mia vita pareva quasi congelata, e rimasi immobile per un periodo di tempo indefinito, che capì solo in un seguito, rappresentava il tempo necessario ad elaborare il MIO LUTTO PERSONALE: quella che ero stata, la mia vita fino a lì, MORIVA, e rinascevo a VITA NUOVA. Alcune cose se ne sono andate, altre sono rimaste immutate, altre ancora si sono TRASFORMATE dando vita a una NUOVA ME. Una nuova me e una vita nuova, fatta di tante prime volte, o di tanti traguardi e obiettivi che percepivo come una "PRIMA VOLTA". E così è stato per il primo giorno di scuola di Angelica, che quell’anno coincideva con il giorno della mia seconda seduta di chemioterapia…ma io ci sarei voluta essere. Chissà quanti altri primi giorni di scuola mi sarebbero stati riservati, forse tanti, forse nessuno: era importante anche per lei, per dimostrarle che quella malattia non avrebbe fatto per sempre da padrona! Volevo ESSERCI, dovevo esserci! E alla fine, grazie alla disponibilità dei medici, sono riuscita veramente ad esserci. Ero talmente emozionata ed elettrizzata che pareva il mio primo giorno di scuola, e non il suo. La malattia dà alla PERCEZIONE DEL TEMPO e degli eventi un sapore e un’intensità differenti. E poi, c’è stata un’altra prima volta: il MIO PRIMO NATALE da malata oncologica. Un trionfo d’emozione, quella che toglie il respiro, fatto di scambi di regali, come mai era accaduto prima, ma soprattutto di parole spesso non dette, di emozioni strabordanti, di lacrime taciute fino a lì, perché quel Natale non era una certezza, ma solo una traballante possibilità. Ho vissuto all’interno di una dimensione possibilistica e artefatta, come dentro una bolla di sapone, per molti mesi, per un tempo che pareva quasi un’eternità, fino a quando, al terzo consulto chirurgico, qualcosa è CAMBIATO DENTRO DI ME, e, di conseguenza INTORNO A ME. Ho fatto ben tre diversi tentativi, in tre momenti differenti.
Inizialmente la speranza che l’INTRUSO si sarebbe ridimensionato c’era: il primo consulto lo feci a Cagliari, ancor prima di iniziare la terapia, ma quella volta lessi negli occhi del chirurgo una sorta di rassegnazione, che compresi solo quando tornai dopo i famosi sei mesi di terapia, non s’aspettava di rivedermi, visto che già allora la situazione era fortemente compromessa, e, nel ritrovarmi ancora lì, viva e vegeta, mi accolse, questa volta, con un entusiasmo quasi paternalistico, felice di rivedermi, ma consapevole del fatto che i progressi fatti non erano sufficienti a garantirmi la possibilità di un intervento sicuro, e con la stessa serietà, per onestà morale e professionale, dovette per la seconda volta respingermi. Nessun intervento e nessuna ricostruzione possibile, la massa era troppo grande. Si trattava di asportare una grande quantità di tessuto, che non sarebbe stato comunque sufficiente per ricostruire, e si trattava soprattutto di un intervento di molte ore che avrebbe potuto provare pesantemente il mio fisico, e in particolare il mio fegato, già compromesso dalle lesioni metastatiche. Troppo rischioso. Fortemente sconsigliato. I rischi superavano di gran lunga i vantaggi. Un altro NO. Ma non volevo arrendermi. Chiedemmo un secondo parere, allo IEO di Milano. Loro erano all’avanguardia: più che una questione di chirurgo, era una questione di macchinari e strumenti di alta tecnologia avanzata. Una nuova speranza, per me. Ci doveva pur essere una soluzione con tutto quello che riescono a fare oggi con i robot, i macchinari ad alta precisione, la bioingegneria, le nanotecnologie, "La medicina non fa solo progressi", ho pensato "ma miracoli!". Ho un ricordo molto bello del colloquio che ho avuto con il chirurgo dello IEO: mi fece un lungo discorso in cui mi spiegò chiaramente ed esplicitamente la mia condizione, ma mi disse anche che NESSUN MEDICO può prevedere con assoluta certezza quello che potrebbe essere l’evoluzione di un tumore sotto terapia, e che nessuno avrebbe potuto QUANTIFICARE IN TERMINI DI TEMPO quanto avrei ancora potuto VIVERE. Lui fu anche il primo e unico medico che scrisse nel mio referto STADIO IV. Un pugno nello stomaco, perché anche se lo sai, cerchi inconsciamente di ignorare la realtà oggettiva dei fatti, però lì lui l’aveva messo nero su bianco, non aveva lasciato spazio all’incertezza. Nonostante ciò, nel discorso che mi fece c’era una sorta di SPIRAGLIO che squarciava l’oscurità: non mi fece solo un discorso prettamente medico scientifico, ma un discorso ben più ampio, che lasciava spazio alla dimensione possibilistica della natura umana, che talvolta esce dagli schemi e stupisce nella sua naturale e straordinaria capacità di RESILIENZA, mossa da un innato e disperato spirito di sopravvivenza, e, talvolta guidato da una fede profonda. Nulla si poteva escludere, e comunque il suo era un invito alla consapevolezza, e al valutare obiettivamente la possibilità di una vita come quella che mi si stava prospettando, forse ristretta in termini di quantità, ma che attraverso i farmaci e le terapie, allo stato attuale delle cose loro erano in grado di rendere PIU’ DIGNITOSA rispetto al passato, riducendo al minimo l’impatto negativo sulla QUALITA’ della vita degli effetti avversi dei farmaci e delle terapie alle quali sarei dovuta andare incontro. Un discorso fondamentalmente INCORAGGIANTE.
Da lì ho imparato ad apprezzare il mondo dell’incertezza e delle probabilità, e ad allontanarmi dallo statico mondo delle certezze assolute. Tutto è possibile agli occhi dei visionari e dei SOGNATORI. Ed è proprio con lo spirito ostinato di un visionario che ho fatto al chirurgo quelle due domande di cui mi premeva ottenere risposta: c’era qualche possibilità d’essere operata? Mi guardò allo stesso modo con cui si guarda un bambino a cui devi spiegare, per l’ennesima volta, la stessa cosa, e mi rispose che era molto improbabile, perché dovevano sparire tutte le metastasi, e il tumore originario si sarebbe dovuto ridurre tantissimo.Quanta PAZIENZA di fronte al disperato desiderio di un paziente di appigliarsi a qualunque cosa, pur di alimentare la sua OSTINATA e INDISCIPLINATA SPERANZA. La seconda domanda andava ancora più a fondo: quando e se quei farmaci non avessero più fatto effetto, cosa si sarebbe potuto fare? Mi tranquillizzò, dicendo che la terapia era costituita da FARMACI DI PRIMA LINEA, e quando e se si fosse ridotta la loro efficacia, sarebbero stati sostituiti o affiancati da quelli di SECONDA LINEA…quindi un'altra speranza, pensai. Per me era sufficiente, mi congedai dicendo che tanto io comunque SAREI GUARITA. Ostinata e testarda fino all’ultimo!! Mi guardò con occhi strabuzzati, ma in pochi secondi lo sguardo si fece tenero e divertito. FASTIDIOSISSIMA…o forse semplicemente arpionata alla vita a tal punto da pensare di poter invertite il corso degli eventi!!! Ma, in fondo, perché smorzare l’entusiasmo d’un folle? Perché distruggere i sogni di un bambino che crede ancora a Babbo Natale? La delusione era stata cocente: ma l’imperativo era solo uno! RICOMINCIARE nuovamente, ancora una volta, a tessere nuove speranze sul filo sottile delle possibilità residue. Ancora e ancora, proprio come in un labirinto, quando t’accorgi d’aver imboccato un vicolo cieco, e ti volti, provando a trovare un percorso alternativo che ti conduca all’uscita.
Due differenti chirurghi, bravi, molto bravi avevano convenuto per adottare la medesima strategia, quella terapeutica, e non chirurgica. Che dire? Concorde! Sono sicura che quella per cui hanno optato è la soluzione migliore, prospettabile in quel momento. Non si poteva fare altrimenti.
Era tempo di rinascere, di rincominciare di riprendere a VIVERE, e la mia vita ha ripreso a scorrere da quell’ultimo consulto. Un capitolo della mia vita si era appena concluso. Quella era la situazione, quello era ciò che mi rimaneva in mano, quella che veniva chiamata CRONICIZZAZIONE della malattia, e da lì dovevo ripartire. Un mattoncino alla volta, avrei dovuto rimettere in piedi la mia vita: ricostruire il mio presente. Incastrare la terapia, le visite, le lesioni varie, in un lavoro nuovo, nell’era post Covid, in cui appena si abbassa la guardia… zack, spunta un nuovo focolaio. Ma io non potevo fermarmi, perché il mio tempo si era d’improvviso ristretto, e non potevo rinunciare a vivere il tempo che ancora mi veniva destinato! Certo, ci voleva attenzione, prudenza, rispetto per gli atri e per me stessa, senza caricare troppo il mio corpo, ma SENZA RINUNCIARE a VIVERE per PAURA di MORIRE. Mi sono ritrovata così a iniziare un nuovo lavoro, in un ambiente nuovo, con persone, ritmi, mansioni differenti. È stata ed è una GRANDE AVVENTURA: io mi ci sono affezionata a quel lavoro, a quelle persone, straordinarie nella loro semplicità, da cui mi sono sentita accolta e supportata, perché non è tanto quello che fai, ma è come lo fai, è ciò che doni, e ciò che ti viene donato. Perché non sei mai fuori posto, quando ti senti a CASA. Quello è stato il primo passo della mia nuova vita, della mia nuova quotidianità. Non so cosa potrà riservarmi il futuro, ma, mi auguro che…per quanta strada c’è ancora da fare, AMERO’ IL FINALE!