Basta un poco di zucchero e la pillola va giù!

Basta un poco di zucchero e la pillola va giù!

  • di Redazione
  • 22 Marzo 2022
  • Amor vincit omnia

Torna la nostra cara Daniela Zedda e la sua rubrica "Amor vincit omnia" che ci racconta le strane associazioni con i suoi farmaci.
DICLAIMER: So molto bene che la malattia non è una divertente compagna di viaggio con cui ridere allegramente, me lo ricordo ogni volta che guardo mia figlia, e rivedo nei suoi occhi il dolore di questa battaglia comune. Ma è proprio per lei che scrivo, cosicché quando arriverà il giorno (molto lontano ancora, spero) in cui io non potrò più esserle accanto, leggendo questi racconti, possa ritrovare, tra le righe, quella folle mamma che non si è MAI ARRESA, e che ha provato a ridere e sorridere, nonostante tutto, e a fare RESISTENZA A OLTRANZA contro questa malattia, NON SPEGNENDOSI e provando a SENTIRSI VIVA, fino in fondo e fino all’ultimo respiro.

Vista la gravità della malattia, e vista la mia iniziale ritrosia ad accettare la diagnosi, vivendo la stessa nel disincanto più assoluto, come se non mi appartenesse, pensai subito che fosse necessario escogitare una STRATEGIA, un vero e proprio piano d’azione che mi permettesse di affrontare la nuova realtà-tumore e di sopravvivere ad esso. Ho sempre pensato che nella vita quando non funziona il piano A, bisogna escogitare e ricorrere al piano B, e poi a quello C, e a quello D, a oltranza, fino a quando, preso per sfinimento, non si riesce a neutralizzare il problema. Metodica, precisa, sempre attenta e scrupolosa, sapevo benissimo cosa significasse avere un tumore e sapevo benissimo cosa significasse tumore metastatico osseo, anche mio padre se n’era andato così. Sapevo quanto si soffre e come si soffre, quando si arriva a quello stadio. Ero spacciata, ero troppo consapevole.

A quel punto non potevo far altro che escogitare una strategia alternativa, e l’unica cosa che mi venne in mente fu quella di agire alla cieca, di affidarmi ai medici e di lasciare che la vita facesse il suo corso, tanto l’aveva già platealmente dimostrato che, in qualunque momento, avrebbe potuto disintegrare tutti i miei piani, senza pensarci su due volte. Con piena fiducia e il cuore in gola, a occhi chiusi mi sono lanciata nel vuoto, senza alcuna rete che potesse attutire un'eventuale caduta, e ho deciso, quindi, di seguire la VIA INVERSA a quella che tutti seguono ai tempi dell’informazione globalizzata. Niente internet, niente tuttologi da consultare, niente ricerche accurate, niente letture infinite di bugiardini. Ogni farmaco aveva un bugiardino che ad aprirlo pareva quasi di srotolare il papiro delle disposizioni testamentarie di Tutankhamon: aprivi un’aletta, e ne trovavi un'altra sotto, una destra e una a sinistra, proseguendo via via a effetto domino, per arrivare poi ad aprirlo completamente, e a ritrovarti, infine, in mano un lenzuolo da letto a piazza e mezzo, in cui debitamente elencati, in ordine di frequenza o d’organo colpito, troneggiavano i temibili EFFETTI COLLATERALI.

A leggerli uno per uno ci avrei messo un’eternità, ma la mia strategia prevedeva l’imposizione categorica di non leggere alcunché per evitare di farmi suggestionare da quella brutta bestia che gioca un ruolo centrale nella malattia, e che prende il nome di PAURA.  Avevo deciso semplicemente di riconoscere allo specialista la sua peculiarità. Ho lasciato a loro tutte le decisioni importanti, mi sono bendata e ho continuato a vivere provando a ignorare la malattia, considerandola una competenza da affidare unicamente nelle mani di chi possedeva la giusta preparazione per poterlo fare.

ODDIO…ad esser del tutto sincera, devo dire che lo Sherlock Holmes che è in me, inizialmente, non ha potuto fare a meno di fare delle ricerche sui medici a cui mi ero affidata.

Potere della tecnologia: in un click, puoi venire a sapere vita morte e miracoli di chiunque. E così leggendo curriculum e articoli, ho semplicemente avuto conferma di ciò che il mio sentire aveva già capito. Ero, e sono tutt’oggi in ottime mani, in una botte di ferro, oserei direi. Magari, per loro sarà stato strano trovare una paziente apparentemente disinteressata alla sua malattia…chissà cos’avranno pensato!!!

In realtà era una strategia, perché quando la nostra mente si trova ad affrontare un evento troppo doloroso, adotta una serie di meccanismi di autodifesa che si innescano automaticamente, e se decide di rifiutare una realtà, per tutelarsi, adotterà ogni tipo di stratagemma, pur di riuscirci. Ero ancora nella fase del rifiuto e della non accettazione. Ed è proprio per questo stesso identico motivo che quando cominciai la terapia, mi rifiutavo, seppur inconsciamente, di memorizzare i nomi dei farmaci che mi venivano infusi.

Solo oggi conosco i nomi dei miei tre supereroi liquidi: Pertuzumab, Trastuzumab, e Xgeva. Xgeva è subentrata in un secondo momento. Nel mio immaginario, due maschi e una femmina. Una grande famiglia.

Ricordo che, la prima volta che presi in mano il mio piano terapeutico, seduta sulla poltrona in sala chemio, per memorizzare quei nomi, cercai di farlo per libera associazione, cercando di ricollegarli a ciò che più facilmente e istintivamente trovavo familiare. Trastuzumab e Pertuzumab: finivano entrambi con "zumab" ...  pareva il fischiettio delle ruote delle auto mentre percorrono a folle velocità il circuito di formula 1..zumabbbb…zumabbbb…e Xgeva, invece mi ricordava Xena, la Principessa guerriera. Mai nome fu più profetico. Il farmaco Principessa Guerriera. Due piloti di formula 1, e una principessa guerriera. Una bella squadra.

Poi, però, lessi che il Pertuzumab aveva anche un altro nome, Perjeta: pareva quasi il nome di un cocktail spagnolo, e questa libera associazione mi riportò indietro nel tempo, al lontano 1996, quando andai in gita scolastica in Spagna. Bei tempi quelli in cui i ragazzi potevano ancora vivere con spensieratezza la loro gioventù, quando si attendeva con trepidazione l’anno del diploma per poter partecipare alla gita scolastica all’estero. E come da tradizione, alle scolaresche tra visite a musei, parchi e città d’arte, era concessa anche un po' di vita notturna. Ci portarono in una discoteca sulle Ramblas, e ricordo che quello fu il giorno in cui decisi di bere il mio primo, ma anche ultimo, cocktail alcolico della mia vita.

"E dai! Daiiii, daiiiii!" dicevano tutti. Non avevo mai bevuto un goccio d’alcool in vita mia. "Prova! Prova, prova!" "Ma no!" "Ma si, daiii!" "Ma no!" "Ma si!", alla fine cedetti, per sfinimento. "E va beh, facciamolo! O adesso, o mai più! E che mai sarà, per un cocktail!"

Tutto colorato, servito in un bicchiere lungo ed elegante, decorato con una cannuccia e un allegro capellino fluorescente, aveva sicuramente un aspetto per i più accattivante. A me, invece, piaceva solo nella sua coloratissima eccentricità. "Ma, si! Dai!" mi dissi "Tagliamo la testa al toro!", e avvicinai la cannuccia alla bocca con fare deciso…un sorsetto, due, e già al terzo cominciai a sentire caldo, sempre più caldo, e a tossicchiare che sembrava quasi che stessi per prendere fuoco, e subito dopo, qualunque cosa mi dicessero, a prescindere dal cosa, mi veniva da ridere, ma proprio da ridere, e non riuscivo a smettere… e ridevo, ridevo, ridevo, volteggiando in tondo, con quel bicchiere in mano, per un tempo che mi sembrò infinito…ma l’effetto esilarante lasciò presto il posto a quello sedante e, con una velocità impressionante mi assalì un sonno, ragion per cui decisi che dovevo trovare subito il modo di liberarmi di quel bicchiere praticamente intonso: tre sorsi avevano già fatto a sufficienza!

Tutti avevano finito i loro coloratissimi cocktail ed erano perfettamente lucidi, ed io non ero riuscita neppure ad arrivare al quarto sorso. Per evitare che qualcuno mi invitasse a finire il mio cocktail decisi, quindi, di poggiare con grande nonchalance il bicchiere su un tavolino, afferrandone un altro vuoto. Lesta e decisa, feci questo scambio, in maniera furtiva e senza dare nell’occhio. Mi sentivo orgogliosa come Arsenio Lupin al suo ennesimo colpo, ma pochi minuti dopo, quando mi girai, vidi un ragazzo afferrare il bicchiere e bere il contenuto tutto d’un fiato. Strabuzzai gli occhi, sperando non mi avesse visto..meno male che non eravamo in tempo di Covid: avrei potuto essere accusata di ATTENTATO ALLA SALUTE PUBBLICA! Mi dileguai in fretta e furia, mentre il ragazzo, dirigendosi nella mia direzione, alzava allegramente il calice al cielo!

"Ah!" pensai il giorno dopo "Io ho dato! Mai più!", e il mio rapporto con i cocktail alcolici morì lì, ancor prima di iniziare. Astemia per scelta, senza alcun tipo di ripensamento.

Fu così che, mentre tornavo con la memoria a quella giornata, davanti al mio piano terapeutico pensai "E chi l’avrebbe mai detto che dopo 24 anni l’unica cosa che avrei sperimentato con un nome lontanamente somigliante a quello di un cocktail spagnolo, sarebbe stato il PERJETA? Ma pensa te, la vita! Certo che, il mio concetto di trasgressione è proprio differente…originale, sicuramente!! Gradisce un Perjeta? "Certo, alla seconda poltrona a destra! Grazie!".