Mostriciattoli, campanellini e super poteri

Mostriciattoli, campanellini e super poteri

  • di Redazione
  • 9 Marzo 2020
  • Alla scoperta dell'altra me

Torna la nostra Annalisa con un racconto che evidenzia tutta la sua voglia di ridere e di divertirsi davanti alla malattia

Quando poco meno di venti mesi fa mi è stato diagnosticato il cancro, non ero ancora pronta per chiamarlo con il suo vero nome. Oddio, proprio no. E se c’è qualcuno che si è sentito pronto mi faccia un fischio perché sarei davvero onorata di conoscerlo. Comunque, bando alle ciance, la parola cancro non riuscivo proprio a digerirla e quindi optai per un nomignolo che tendeva a sminuirlo. Volevo farlo sentire proprio piccolo, pauroso ma piccolo, e così lo chiamai "il mostriciattolo". Questo fetente non meritava tanta importanza, mi aveva assalito velocemente e aveva grandi progetti disfattisti sul mio corpicino.

Devo al tale in questione l’introduzione nel mio corpo di un bel po' di brodaglia rossa, schifosissima, talmente schifosa che ancora adesso riesco ad evocare il mix di odori e sapori terribili che mi provocava e il risultato non cambia… mi viene una nausea pazzesca. Tra l’altro questa robaccia qua non era tanto delicata con le mie vene e quindi mi è stato impiantato pure un accesso venoso centrale, un obbrobrio tondeggiante nel mio bel décolleté, una schifezza proprio che per farmela piacere c’è n’è voluta di pazienza e alla fine l’ho ribattezzata "campanellino". Eh si, perché sembra proprio un vecchio campanello di quelli d’ottone che trovavi nelle hall degli alberghi, solo che è in miniatura ed è sottocute. Mi sono sentita una di quelle bambole di un tempo che premevi un bottone posto sul petto o sulla schiena e loro attaccavano con la canzoncina. Con mia figlia sotto Natale giocavamo così: lei premeva il campanellino ed io le cantavo un jingle e fin qui un po' pazzerelle ma perdonabili… cosa non si fa per i bambini. Si, si, peccato che io avessi cinquant’anni e mia figlia la metà dei miei… Insomma a conti fatti deve avergli roso parecchio al tizio sentirsi deridere così, tanto più che io d’altro canto acquisivo notorietà e stima e ricevetti addirittura in regalo il pupazzetto della mitica Wonder-Woman, segno inconfondibile di forza e coraggio.

Non so quanto peso abbia avuto nell’affrontare il cancro questo mio modo di ironizzarci su, posso dirvi solo che ho riso tanto, proprio quando sembrava che da ridere non ci fosse proprio nulla e se non fosse che riuscivo a far ridere anche gli altri mi sarei data della deficiente da sola. Invece ebbi modo di sperimentare quanto il buonumore, anche durante le lunghe attese in corsia o nel bel mezzo di una infusione di chemioterapia, fosse contagioso. Ho reagito in questo modo per tenere lontana la super-fifa che inevitabilmente tentava di sopraffarmi quando abbassavo la guardia ed è così che ho imparato a tenerla alta e ho iniziato a guardare con occhio ottimista gli aforismi dipinti su quei muri arancio e limone per tentare di trasformare la tragedia in speranza.