La triste, repentina fine di "Mon piscion" e la dottoressa poco simpatica - Parte seconda
- di Redazione
- 22 Settembre 2020
- Rita, poesie e non solo
Seconda parte del racconto della nostra mitica Rita Meleddu sul catetere birichino e la dottoressa non proprio amichevole
La settimana scorsa ho parlato delle figuracce scampate per un pelo a causa di "Mon piscion", oggi parlerò della sua dipartita e di cosa ho rischiato quel giorno a livello di figuracce, se non mi allungherò come al solito, parlerò di una dottoressa poco amabile, a cui da una settimana staranno fischiando le orecchie, e se lo merita, visto il trattamento che mi ha riservato senza averle fatto io assolutamente nulla, ma è facile sfogare malumori e rabbia su chi non c'entra niente, solo perché si ha un titolo...
Ma torniamo a Mon piscion!! Il catetere renale esterno mi faceva compagnia da un anno esatto, me ne aveva combinate tante come detto più volte, ma mi ha aiutato molto di più e per questo gliene sarò grata per sempre. Dunque ci troviamo ai primi di settembre dello scorso anno, era di domenica, mi preparo, mio marito provvede a sostituirmi il sacchetto, e usciamo, così senza una meta, in genere facciamo un giro, vediamo il mare, poi torniamo a casa.
Visto che dovevamo passare nei pressi di un supermercato di un paese vicino al nostro, che era aperto sebbene fosse una giornata festiva; mio marito decide di fermarsi a comprare qualcosa da mangiare. Dei panini e un po' di affettato, così avremmo potuto mangiare qualcosa e far rientro con tranquillità. Scende solo lui, fa per entrare dentro il supermercato, ma prima cerca qualcosa nel portabagagli. Io mi giro verso di lui, evidentemente mi muovo male, e... sento di nuovo quel calore che conosco bene, espandersi su tutto il fianco. "Oh no", penso, ci risiamo, il sacchetto si è staccato dal fianco e mi ritrovo immediatamente tutta bagnata. Avviso mio marito e facciamo l'unica cosa da fare, torniamo a casa, conciata così dove vado? Arrivati a casa mio marito si dirige subito in camera ad "apparecchiare il letto" come dico io, io invece corro in bagno per togliere gli abiti completamente bagnati. Strada facendo cerco di sfilarmi i jeans che sono attillatti e giunta in soggiorno, sento un "ploffff!" , mi guardo a terra e scopro con orrore che il catetere si è sfilato dal suo alloggio e ora giace inerme per terra. Evidentemente mentre cercavo di togliere i jeans, si deve essere impigliato e in un attimo la frittata è fatta. Ecco, la triste fine di "Mon piscion", finito nel nulla, così...compagno di mille avventure, non sempre liete, che farò ora senza di te?
Intanto però si scatena il panico, accorre mio marito, non ci diciamo neppure "bah!", tempo di lavarmi e cambiarmi nuovamente, siamo già in viaggio verso Cagliari, precisamente al Brotzu in Urologia, dove sono in cura per la faccenda dei reni, anzi dell'unico rene che ora si trova in una situazione non proprio ottimale. Ora c'è un problema, bere o non bere acqua? Mio marito mi dice di si, per controllare se riesco a urinare normalmente, io invece ho paura, e se dovessi bloccarmi? Scelgo una via di mezzo, bevo ma non tanto, e mi accorgo quasi subito che la vescica non avendo lavorato per un anno intero, non riesce a trattenere l'urina, poiché le pareti hanno sicuramente ceduto, cerco di non pensarci, intanto si arriva in ospedale, entriamo come dei fulmini e ci dirigiamo verso gli ascensori. Gli ascensori al Brotzu sono tanti, confondono un po' le idee, sembra un labirinto, partono in tutte le direzioni, ma ce ne fosse uno libero e disponibile quando serve. Per di più Urologia si trova agli ultimi piani, ora non ricordo con precisione, ma minimo è all'ottavo piano, gli ascensori sono sempre affollati e salgono molto lentamente facendo sosta a quasi tutti i piani. Il giorno nessuna porta di un qualsiasi ascensore si apriva, e io sentivo sempre di più che stava per accadere il fattaccio. Finalmente un ascensore arriva, riusciamo a prenderlo, nonostante sia pieno, e comincia la salita, a ogni piano si fermava, qualcuno scendeva, qualcuno saliva e io ero praticamente appiccicata a una parete dell'ascensore, pregando che riprendesse la sua corsa e ci facesse scendere al nostro piano.
Non so neppure io come ho fatto a trattenermi, ormai ero lì lì per farmela addosso, quando l'ascensore si è fermato al piano prescelto. Fiondarmi fuori e raggiungere un bagno che avevo frequentato altre volte, è stato tutt'uno. Andavo sempre lì perché era molto più pulito rispetto ad altri disseminati allo stesso piano, ma il giorno francamente avrei usato anche una latrina puzzolente, quando scappa scappa eh? Entro in bagno, e mi accorgo che i fuseaux che indossavo si erano come incollati alla pelle, e non scendono neppure a pagarli oro. La pipì ormai era in arrivo, spinta dalla disperazione tiro a destra e a sinistra e per fortuna i pantaloni cedono. Ma cosa ho combinato nel frattempo? Nel bagno era presente un lavandino, io mi porto sempre un giubbino o una giacchina, perché negli ospedali o c'è troppo caldo o troppo freddo, e mi metto al sicuro. Ma cosa ho fatto? Appena entrata in bagno senza neppure guardare, mi libero dei giubbino e lo butto dentro il lavandino, in quel momento non mi serviva di certo. Non mi ero però accorta che il rubinetto era azionato da un sensore, quindi non appena il giubbino ha toccato il lavandino, il rubinetto si è aperto e lo ha completamente bagnato. Bene, ora avevo rischiato di farmi la pipì addosso, non sapevo cosa mi aspettava riguardo al rene, e nel caso ci fosse stato freddo all'interno del reparto, me lo sarei dovuta tenere perché ero stata così furba da bagnarmi il giubbino.
Ma la cosa più importante a quel punto era riuscire a entrare nel reparto e vi assicuro che non è per nulla facile. La porta è sempre chiusa e ogni qualvolta qualcuno esce dal reparto, qualche altro cerca di entrare, altrimenti non si entra assolutamente. Alla fine riusciamo ad entrare, e dopo aver contrattato con un'infermiera poco propensa a farci entrare, a parlare con la dottoressa di guardia. Le spiego tutto, soprattutto le mie paure, lei mi fa un bel po' di domande, ma poi mi rassicura, se sto urinando normalmente va bene, posso tornare a casa perché essendo il giorno domenica non erano previsti certi interventi, anche se secondo me ero urgente, e si doveva fare festivo o no, ad ogni modo mi trova un posticino per il giorno successivo, mi sarei dovuta ripresentare, e finalmente avrei riavuto il mio catetere nuovo. Mi aspettavo che mi facesse un'ecografia, per verificare la funzionalità renale, ma mi dice che non ce n'è bisogno e torniamo a casa. Il lunedì manco a dirlo, ci presentiamo all'orario stabilito e anche prima, in reparto, l'urologo che doveva riposizionarmi il catetere e che era il primario, bravissimo tra l'altro, vuole prima un'eco e mentre me la fa esclama:"signora niente catetere per lei, il rene non è più dilatato e sta funzionando bene, non ce n'è più bisogno!" Cosa avreste fatto voi? Salti di gioia sicuramente; ma io no, mi sentivo defraudata senza il mio catetere. Ripetevo come una litania: "perché non mi rimette il catetere?" E lui a spiegare ogni volta... Visto che non mi fidavo di lui che ripeto era il primario, ha chiamato un collega, fatta un'altra eco ma il responso era lo stesso: "niente catetere.
A questo punto ho visto il lato positivo della cosa e ne sono stata felice. Da allora per tutta la settimana sono andata in ospedale, non so più quante ecografie mi sono state fatte, né quanti medici e dottoresse mi abbiano visto. Volevano essere sicuri giustamente che tutto andasse per il meglio. Ho trovato sempre medici e dottoresse affettuose, che ci tenevano davvero a me come persona. Ricordo che un giorno una dottoressa dopo avermi fatto l'ennesima eco, volendo essere sicura di quello che diceva, chiamò una collega affinché mi facesse un'altra eco per avere un confronto. Questo accadeva di venerdì, e come stava ormai succedendo da una settimana, il lunedì sarei dovuta tornare per fare ulteriore accertamenti. Devo dire che io accedevo al reparto senza nessuna impegnativa, o permesso, erano 2 anni che mi recavo lì, mi davano l'appuntamento scritto per i controlli seguenti, ma non sempre, e come in questo caso, mi dicevano a voce quando tornare e io tornavo. Ho detto che tutti gli urologi che mi avevano visto fino a quel momento erano stati gentilissimi con me, ma non avevo fatto i conti con una certa dottoressa che non conoscevo neppure di vista. Ma procediamo con ordine...
Il lunedì mi sveglio stando molto male, non riesco a capire cosa mi stia accadendo, avevo addosso una debolezza esagerata, non stavo in piedi nel vero senso della parola. Mi sentite parlare spesso di questa debolezza, altrimenti detta "Fatigue", lo dice già il nome, una stanchezza assurda si impossessa della persona che ne è vittima, e a nulla valgono farmaci e integratori. Diciamo che è un altro regalino di signor cancro. Dunque quel lunedì mi preparavo per recarmi in ospedale, ma stavo sempre peggio. Decido di controllarmi la temperatura e scopro che non ho temperatura, o meglio sotto i 36, ecco spiegata la fatica. Va bene, ne parlerò al medico che mi vedrà a breve. Si, contaci...
Arriviamo in ospedale, si presenta questa dottoressa che appunto non conoscevo, e che dopo aver visto che per una intera settimana ero entrata e uscita a mio piacimento, parole sue, dall'ospedale senza che nessun collega (suo), scrivesse niente a tal proposito, mi prende subito a urla, e chi ero io per avere di questi piaceri? Lo ripeto fino all'infinito, mai chiesto piaceri a nessuno, a meno che non fosse necessario assolutamente, e casomai se anche me li avessero fatti non è mica colpa mia... chi ero io per entrare senza un'impegnativa oppure senza passare dal Pronto soccorso? Cercavo di difendermi, ma di che poi? Sembrava una furia, urlava e si agitava, cominciavo a pentirmi di essermi presentata, e in aggiunta un'infermiera ruffiana le dava pure ragione, che poi poteva aver ragione per alcune cose, o meglio in effetti io quella settimana sembravo Belfagor, il fantasma del Louvre, ricordate lo sceneggiato degli anni 60? Se ci penso me la faccio addosso dalla paura, ecco, io ero stata un fantasma, perché non risultava da nessuna parte che fossi entrata in ospedale, ma torno a dire, non è mica colpa mia se mi facevano entrare senza fogli e ostacoli vari.
Un'altra cosa, tutti e dico tutti i medici, vedendo mio marito preoccupato, lo facevano entrare durante la visita oppure gli spiegavano tutto, cercando di rassicurarlo. Questa nulla, anzi gli è passata vicino, gli ha chiuso la porta in faccia e non l'ha neppure salutato e si sa il saluto non costa nulla. A un certo punto vedendomi afflitta e non capivo perché dovevo essere afflitta, e sentendomi in colpa di colpe che non avevo commesso, ha cominciato a chiedermi scusa, che lei non ce l' aveva con me ma con i colleghi, mi ha fatto più volte l'eco, confermando la diagnosi dei colleghi che l'avevano preceduta, e dicendomi anzi, che non essendo il rene più dilatato, era pericoloso posizionare il catetere perché si poteva pungere la vena per sbaglio. Ora vedendola un po' più calmina le faccio presente che mi sento debolissima e che ho la temperatura praticamente a 35. Cosa posso fare per stare almeno un pochino meglio? Mai l'avessi detto, riprende a urlare, e cosa le interessava a lei se non avevo febbre, le sarebbe interessato se ne avessi avuto casomai. Ecco qua, me la sono proprio cercata, però certo che lei simpatia zero, e il bello che si fa un gran parlare di dialogo medico/paziente. Per finire comunque, mi ha rilasciato un foglio di dimissioni da portare sempre con me per mostrarlo a chi mi avesse rivisto e che non mi venisse l'idea di tornare in ospedale senza impegnativa o senza come detto, passare dal Pronto soccorso. Fino ad allora facevo ecografie ogni qualvolta ne avevo bisogno, dal giorno, ed è passato più di un anno, mai più e non sono più tornata da loro. Certo è che se dovessi sentirmi male, io mi ripresento lo stesso e voglio vedere se mi sbattono fuori...