

Tumore dell’ovaio, nuove combinazioni di terapie
- di Redazione
- 8 Giugno 2023
- Italia ed estero
Olaparib e Durvalumab per tenere sotto controllo il tumore ovarico in fase avanzata! Questo è quanto suggerisce lo studio di fase 3 DUO-O, presentato a Chicago al congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO).
Combinare la forza dell'immunoterapia con la precisione dei farmaci a bersaglio molecolare, in aggiunta alla terapia standard, pare sia la strategia migliore per bloccare la progressione della malattia.
Si tratterebbe di un risultato particolarmente importante che coinvolge anche le pazienti senza mutazione nei geni BRCA e che non presentano difetti di ricombinazione omologa, caratteristica che spesso non le rende idonee a ricevere un PARP inibitore come olaparib.
Il tumore dell'ovaio, nel nostro Paese, conta circa 5 mila nuove diagnosi all'anno, Purtroppo solo poco più del 40% delle donne sopravvive a 5 anni dalla diagnosi. Questo accade a causa della diagnostica tardiva poichè non esiste un vero e proprio screening e spesso i sintomi di tale tumore non vengono riconosciuti.
Oggi la chirurgia seguita da chemio e radioterapia rappresenta il principale trattamento. Successivamente si procede con una terapia di mantenimento poiché il 70% delle donne con malattia avanzata va incontro a recidiva entro due anni.
La scienza non si è mai fermata tant’è che sono stati sviluppati farmaci più mirati come gli antiangiogenetici, che impediscono la crescita del tumore, e i PARP inibitori come olaparib capace di agire in maniera selettiva sulle cellule mutate che provocano il tumore ovarico. Ma fino ad oggi si è potuto utilizzare l’olaparib solo per la malattia caratterizzata da un difetto di ricombinazione omologa, caratteristica che rende il tumore suscettibile all'azione dei PARP inibitori. Si tratta del 50% dei tumori dell'ovaio. La restante metà è sempre rimasta scoperta.
Ed è qui che entra in gioco lo studio di fase 3 DUO-O che ha valutato l'utilizzo dell'immunoterapia con durvalumab, il PARP inibitore olaparib, la chemioterapia e bevacizumab.
Effettuato su 1300 donne con tumore dell'ovaio in stadio avanzato indipendentemente dall'avere un difetto di ricombinazione omologa, i risultati presentati ad ASCO non lasciano spazio ad interpretazioni: dalle analisi è emerso che la combinazione dei differenti farmaci ha portato ad una riduzione del rischio di progressione della malattia del 32%. Risultato ottenuto indipendentemente dalla presenza o meno del difetto di ricombinazione omologa. Un risultato importante che dimostra come la combinazione di più terapie sia in grado di meglio controllare sul lungo termine il tumore dell'ovaio in stadio avanzato.