Tumore alla vescica: una possibile alternativa alla chemioterapia standard
- di Redazione
- 26 Novembre 2024
- Italia ed estero
La combinazione di immunoterapia e chemioterapia, con nivolumab e nab-paclitaxel, potrebbe essere una promettente alternativa di cura per i pazienti con tumore alla vescica muscolo-invasivo che non possono assumere il cisplatino, la chemioterapia di riferimento.
"Circa il 50 per cento dei casi rientra in questa categoria perché i pazienti presentano un’insufficienza renale, preesistente alla patologia, o altre patologie neurologiche o cardiologiche in contemporanea", ha spiegato Andrea Necchi, dell’Ospedale IRCCS San Raffaele di Milano, che ha coordinato il lavoro di ricerca.
Per queste persone non poter assumere il cisplatino significa dover rinunciare alla cistectomia, la rimozione chirurgica della vescica, e quindi interrompere le cure. I risultati dello studio clinico di fase II NURE-Combo, pubblicati sul Journal of Clinical Oncology, sono il traguardo più recente di un percorso di ricerca iniziato diversi anni fa, sempre con il sostegno di AIRC.
"Nel 2017, io e i miei colleghi siamo stati i primi a studiare l’effetto di nuovi farmaci, in particolare immunoterapici, per il tumore alla vescica muscolo-invasivo, in alternativa alla chemioterapia", ha raccontato Necchi.
Nello studio clinico PURE-01 il gruppo di ricerca aveva valutato l’efficacia del pembrolizumab come terapia neoadiuvante, assunta quindi prima della rimozione chirurgica del tumore per ottimizzarne l’efficacia. I risultati avevano mostrato che i pazienti trattati con l’immunoterapia potevano ottenere una risposta completa, ovvero l’assenza di cellule tumorali all’esame istologico, dopo la cistectomia. Da quel momento in poi, altri gruppi di ricercatori hanno iniziato a studiare diversi immunoterapici per la cura del tumore alla vescica muscolo-invasivo, mentre Necchi e i suoi colleghi hanno ideato la sperimentazione NURE-Combo: uno studio in cui si è valutata l’efficacia della combinazione del nivolumab, un immunoterapico approvato dall’Agenzia regolatoria del farmaco europea (EMA) per la terapia adiuvante, con il nab-paclitaxel, un chemioterapico somministrabile anche ai pazienti non idonei al cisplatino.
Nello studio sono stati coinvolti 31 pazienti con tumore alla vescica muscolo-invasivo che non potevano o non volevano essere trattati con il cisplatino. Nel corso del tempo, tutti sono riusciti a terminare la terapia neoadiuvante con la nuova combinazione ed essere sottoposti alla cistectomia. Una ventina di loro ha continuato anche la terapia adiuvante con il nivolumab, mentre 9 pazienti hanno dovuto interrompere a causa di effetti collaterali, complicazioni chirurgiche o la progressione del tumore. Il risultato più importante è che a 12 mesi dall’inizio della terapia, circa il 90 per cento dei pazienti era vivo e non presentava complicazioni o ricadute della malattia. Si tratta di una percentuale maggiore rispetto a coloro che erano stati trattati con il solo pembrolizumab nello studio precedente PURE-01.
"Questi numeri non ci sorprendono, perché sono in linea con le evidenze acquisite dal mio e da altri gruppi di ricerca. Occorre però essere prudenti e attendere i dati della prossima analisi, che deriveranno da un tempo più lungo di osservazione", ha ribadito Necchi.
Per essere certi dell’efficacia della combinazione di farmaci bisognerà ottenere informazioni sulla sopravvivenza globale, che misura la percentuale di persone vive dopo 5 anni dall’inizio della terapia. Servirà inoltre condurre uno studio comparativo randomizzato, in cui i due gruppi di pazienti da trattare con la cura nuova o con quella di riferimento siano selezionati in modo casuale, al fine di poter effettuare un più obiettivo paragone dei risultati. Questa fase è essenziale per ottenere l’approvazione dell’indicazione della terapia da parte degli enti regolatori.
Si tratta di pratiche che spesso richiedono molto tempo, necessario a garantire la reale sicurezza ed efficacia dei trattamenti approvati. Come conferma Necchi, a tali difficoltà si aggiungono quelle di trovare persone disposte a essere trattate con la chemioterapia di riferimento quando sono allo studio nuove opzioni di cura. "Soprattutto nei centri principali, i pazienti arrivano già con un’elevata conoscenza su ciò che la ricerca clinica può proporre per la loro malattia", ha concluso Necchi.