Tumore al seno nelle over 70: si può evitare la terapia ormonale?
- di Redazione
- 25 Dicembre 2024
- Italia ed estero
Tra le oltre 50 mila donne che ogni anno si ammalano di tumore al seno in Italia, una buona parte ha più di 70 anni. E, fra queste, c’è qualcuno con un tumore particolarmente a basso rischio: quello cosiddetto "ormono-sensibile" (del tipo luminale A) scoperto nella sua fase iniziale, cioè allo stadio I.
Dopo l’intervento chirurgico conservativo, ad oggi le linee guida prevedono un doppio trattamento: la terapia ormonale (o, meglio endocrina) per 5 o 10 anni, per bloccare la produzione di ormoni, più la radioterapia.
La combinazione è lo standard di cura, che però, per le pazienti più anziane e fragili, può risultare un approccio eccessivo per una malattia così poco aggressiva. Potrebbe essere sufficiente la sola ormonoterapia o la sola radioterapia? E se sì, come stabilire quando ricorrere all’una e quando all’altra, tenendo in considerazione anche la qualità di vita, che per queste donne è spesso tra gli aspetti più importanti?
Uno studio quasi tutto italiano, supportato interamente dalla Fondazione Radioterapia Oncologica e coordinato dalla Breast Unit dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze vuole cercare proprio di rispondere a questa domanda.
Si tratta della sperimentazione clinica Europa, che sta confrontando la terapia ormonale con la sola radioterapia in questa popolazione di pazienti. Lo studio è in corso (terminerà l’arruolamento a febbraio), ma i risultati preliminari sono stati presentati in una sessione plenaria del San Antonio Breast Cancer Symposium (tra gli eventi scientifici più importanti nella ricerca sul tumore al seno) e pubblicati su Lancet Oncology, riscuotendo moltissimo interesse da parte della comunità scientifica.
"Diverse pubblicazioni nella letteratura scientifica sostengono da tempo che, per i tumori a basso rischio di recidiva in donne anziane, fare sia la terapia ormonale che la radioterapia possa risultare in un sovratrattamento. Negli anni, quindi, la comunità scientifica ha cominciato a condurre studi per de-scalare le cure. Finora, però, tutti questi studi hanno sempre tolto solo la radioterapia dagli schemi terapeutici. Il nostro è invece il primo studio accademico randomizzato di fase 3 che va a confrontare due gruppi: in un caso utilizziamo solo la terapia ormonale, nell’altro solo la radioterapia. E, di nuovo per la prima volta, abbiamo inserito come obiettivo primario anche la valutazione della qualità di vita. I risultati ci diranno se c’è una differenza nel rischio di recidiva locale e nell’impatto delle due terapie sulla qualità di vita", ha spiegato Icro Meattini, professore associato di Radioterapia oncologica presso l’Università di Firenze, Direttore della Breast Unit fiorentina e coordinatore dello studio.
Una buona percentuale di pazienti interrompe la terapia ormonale o deve cambiare farmaci a causa dell’impatto degli effetti avversi. "Ma lo studio non punta a stabilire se un trattamento sia migliore dell’altro: vuole invece fornire evidenze scientifiche per aiutare i clinici a prendere decisioni terapeutiche tarate sulla paziente, soprattutto se fragile e non più giovane", ha ribadito Meattini.
Il trial coinvolge i team multidisciplinari di 21 centri, di cui 19 italiani e due sloveni, per un totale di oltre 900 pazienti over 70 (come detto, donne con carcinoma in stadio I positivo per i recettori ormonali ed Her2 negativo, con caratteristiche prognostiche positive). A tutte vengono somministrati questionari sugli effetti avversi delle cure e per valutare la qualità di vita (l’health-related quality of life, Hrqol).
Tra marzo 2021 e giugno 2024 sono state incluse nello studio 731 donne. Questa prima analisi presentata a San Antonio riguarda un sottogruppo di 104 pazienti con età media di 75 anni e con un follow up (cioè periodo di controllo/osservazione) di quasi due anni. "Si tratta di dati preliminari, ma il risultato più significativo riguarda proprio la qualità di vita. A distanza di due anni, il punteggio sullo stato di salute generale cala di 10 punti in media in chi fa terapia ormonale e di un punto in chi fa radioterapia. Aggiustando i dati per età e fragilità, la differenza permane statisticamente significativa: di oltre 6 punti. Anche gli effetti avversi sono meno frequenti in questo gruppo, di circa il 20%". Ce lo aspettavamo, ma bisognava dimostrarlo", ha sottolineato Meattini.I ricercatori sono anche andati a vedere se vi fossero differenze in termini di efficacia dei trattamenti, e cioè di tasso di recidive.
La risposta, ad oggi, è no: non ci sono state recidive locali in nessuno dei due gruppi. "Questo dato non ha alcun valore clinico in questo momento, perché il tempo di osservazione è breve e il campione è piccolo, ma era un passaggio di controllo obbligato previsto dallo studio". Se si fossero trovate più recidive di quanto atteso sulla base della letteratura scientifica, infatti, lo studio si sarebbe interrotto.Bisognerà attendere dati più maturi, con follow up più lungo, ma non c’è dubbio che i preliminari siano molto promettenti, e c’è chi pensa che questo studio potrà cambiare la pratica clinica. La doppietta ormonoterapia + radioterapia potrebbe non essere più lo standard, in futuro? "Non possiamo né vogliamo affermare questo. Ci saranno sempre pazienti over 70 ‘fit’, che sono in buona salute e per le quali la combinazione è la migliore cura da offrire. Ma di fronte a una donna con osteoporosi grave, trombosi o altre patologie, speriamo di dimostrare che è possibile descalare le cure senza che questo influisca negativamente sulla prognosi", ha concluso Meattini.