L’uso di talco aumenta davvero il rischio di ammalarsi di tumore ovarico?
- di Redazione
- 25 Novembre 2024
- Italia ed estero
Nel luglio 2024 l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha stabilito di distinguere due tipi di talco in relazione al rischio di cancro: quello contaminato da amianto e quello puro. Il primo è inserito tra i cancerogeni certi, mentre il secondo si trova nel gruppo delle sostanze probabilmente cancerogene.
Il rischio di sviluppare un tumore dell’ovaio in seguito all’esposizione al talco è molto bassa, per diverse ragioni: perché i lotti di talco contaminati da amianto, presenti prevalentemente negli Stati Uniti, sono ormai stati ritirati dal commercio da molti anni; perché l’uso del talco anche puro nelle parti intime, per conservare per esempio contraccettivi come il diaframma, è in declino da tempo; e perché il tumore dell’ovaio resta una malattia relativamente rara.
Gli studi effettuati finora sono rassicuranti perché dai risultati non è emersa una relazione tra frequenza o durata del consumo di talco e probabilità di sviluppare la malattia (una relazione quasi sempre esistente nel caso di cancerogeni certi).
Per ragioni di precauzione gli esperti consigliano di evitare l’uso del talco a livello inguinale o genitale, mentre non hanno rilevato possibili rischi legati al contatto cutaneo con altre parti del corpo.
Nel 2016 un tribunale statunitense ha condannato una delle più note aziende di prodotti per l’igiene a pagare un risarcimento di ben 72 milioni di dollari alla famiglia della signora Jackie Fox, mancata per un tumore ovarico. La notizia ha suscitato preoccupazione in tutto il mondo. Secondo la giuria, l’azienda sarebbe stata responsabile di non aver adeguatamente informato i consumatori sul rischio dell’uso prolungato di prodotti per l’igiene a base di talco, in particolare a livello inguinale o, come si faceva fino a qualche anno fa, per mantenere asciutti i diaframmi contraccettivi in lattice di gomma. Né l’azienda avrebbe comunicato, in tali casi, un possibile aumento del rischio di tumore dell’ovaio.
Negli Stati Uniti, come anche in Italia, una sentenza può non essere determinata da ciò che la scienza ha o non ha dimostrato. Il giudice, e negli Stati Uniti anche la giuria popolare, possono basare il proprio giudizio su altri tipi di valutazione. Nello scontro tra le posizioni degli avvocati delle due parti, in questo caso specifico, la giuria popolare ha dato maggiore peso alla tesi dell’accusa, per cui sarebbe stato necessario quantomeno riportare un avvertimento cautelativo in etichetta, rispetto alla tesi della difesa, per cui non esistono solide dimostrazioni scientifiche della cancerogenicità del talco. Va aggiunto che, nel caso di Jackie Fox, la sentenza è stata poi modificata in appello, nel 2017, non nel merito, ma per problemi di competenza giuridica. Infatti, la signora risiedeva in Alabama, l’azienda chiamata in giudizio aveva sede nel New Jersey e il caso era stato dibattuto a St. Louis, in Missouri: un giudice ha quindi stabilito che il tema andava oltre le competenze del tribunale coinvolto in precedenza.
Un caso analogo, che ha coinvolto la stessa azienda, ha avuto come protagonista la californiana Eva Echeverria, anch’essa deceduta per tumore ovarico, alla cui famiglia la giuria aveva accordato inizialmente un risarcimento di 417 milioni di dollari. Nell’ottobre 2017 però, in appello, un giudice ha ancora una volta rivisto le conclusioni della sentenza iniziale, seppur con una motivazione differente da quella usata per Jackie Fox: la ragione del nuovo verdetto era la mancanza di prove sufficienti a dimostrare un legame di causa ed effetto fra l’uso di talco e il tumore. Il dibattito legale sull’associazione tra talco e tumore non è chiuso, dato che nei tribunali soprattutto statunitensi sono ancora oggi numerose le cause in corso sul tema.
L’azienda è, infatti, da quasi un decennio al centro di una battaglia legale che coinvolge decine di migliaia di persone negli Stati Uniti. Persone guarite e familiari di persone che hanno perso la vita a causa di tumori all’ovaio hanno deciso di intentare una class action, una causa collettiva, contro la multinazionale dei prodotti per la cura della persona. Nella primavera del 2023, e ancora nella primavera del 2024, ha fatto discutere la proposta della stessa multinazionale di offrire agli oltre 70.000 partecipanti alla class action prima 8,9 miliardi e poi 6,5 miliardi di dollari di risarcimento, per patteggiare e chiudere di conseguenza le cause in corso. Dato che i lotti di talco contaminati da amianto erano stati ritirati dal commercio, molti hanno visto nell’offerta di patteggiamento un’assunzione di responsabilità da parte dell’azienda. Questa, inoltre, secondo le accuse avrebbe minimizzato il rischio.
Il tumore ovarico è una malattia poco frequente, che rappresenta meno del 3 per cento di tutti i casi di tumore. Gli esperti sono quindi concordi sul fatto che, se dovesse essere confermato da ulteriori studi, l’eventuale aumento del rischio di tumore dell’ovaio causato dall’esposizione prolungata a talco, contaminato o non contaminato da amianto, nell’area vicino alla vagina o al suo interno sarebbe modesto in valore assoluto. In ogni caso, i risultati che derivano dagli studi condotti negli ultimi anni sull’argomento indicano che le prove che il talco sia tra i possibili fattori di rischio per il tumore dell’ovaio sono limitate. In tali studi retrospettivi sulle pazienti sono stati impiegati campioni più ampi e metodi più rigorosi. Inoltre, sono stati raccolti dati ottenuti anche con colture cellulari e con animali di laboratorio.
La maggioranza degli altri studi condotti finora è considerato invece poco rigoroso per i metodi impiegati. Per verificare la relazione tra talco e rischio di tumore dell’ovaio, le partecipanti sono infatti state invitate a ricordare come avessero usato o non usato il talco nel passato, anche a distanza di molti anni, riportando tali informazioni in un questionario o un’intervista. Questo tipo di ricerche prende il nome di studi "caso-controllo" e si usa per cercare di capire quali eventi, comportamenti o esposizioni del passato sono comuni alle persone che si sono ammalate (i "casi"), mentre non lo sono tra quelle che non si sono ammalate (i "controlli"). Il limite principale è che la memoria è spesso labile e influenzabile a seconda di come vengono poste le domande. Per questo i risultati di questi studi sono in genere considerati poco attendibili dai ricercatori.
Più affidabili sono gli studi "di coorte", che reclutano un ampio gruppo di donne sane e le seguono nel tempo, raccogliendo numerosi dati (tra cui per esempio il consumo di prodotti per l’igiene intima con talco) per cercare di capire che cosa differenzia le donne che a un certo punto vengono colpite dal tumore.
Studi recenti con cellule in coltura hanno evidenziato che il talco avrebbe alcune caratteristiche comuni ad altre sostanze cancerogene. Sebbene alcuni studi abbiano riportato un aumentato rischio di avere un tumore dell’ovaio tra le donne che hanno fatto uso prolungato di talco nella zona inguinale e vaginale, nessuno scienziato ha finora identificato un meccanismo biologico per cui il talco potrebbe causare lo sviluppo di questo specifico tumore.
Un ampio studio statunitense, che ha coinvolto un campione di circa 80.000 donne e i cui risultati sono stati pubblicati nel 2000, era parte di un noto studio epidemiologico di lunga durata sulle infermiere statunitensi. I risultati non hanno evidenziato alcuna correlazione, se non un debole legame con il tumore ovarico di tipo sieroso. Tale associazione potrebbe essere frutto o del caso o della contaminazione di alcuni lotti di talco con amianto. Si tratta di un problema noto, che si è verificato in passato e che non riguarda i prodotti contenenti talco oggi in commercio.
Nel 2003 è stata poi pubblicata una metanalisi (uno studio in cui sono analizzati insieme i risultati di diversi studi) che ha incluso 16 studi in cui erano state coinvolte complessivamente 12.000 donne. Tale metanalisi aveva segnalato un aumento di circa un terzo del rischio di cancro ovarico associato all’uso del talco. Una revisione del 2013 degli studi statunitensi (con circa 18.000 donne coinvolte tra casi e controlli) aveva rilevato un aumento analogo associato all’uso del talco per l’igiene intima, ma non all’uso su altre parti del corpo. È da sottolineare che questi ultimi due studi sono di tipo caso-controllo, basati cioè su ciò che le donne hanno ricordato sulle proprie abitudini negli anni precedenti, e per questo, come detto, non sempre sono sufficienti a chiarire i fatti.
Sulla stessa linea sono anche i risultati di alcune metanalisi più recenti, come quella pubblicata a gennaio 2018 che includeva i dati di 24 studi caso-controllo e 3 studi di coorte. In un’altra, dell’agosto 2019, sono stati invece inclusi 26 studi caso-controllo e 4 studi di coorte. I dati analizzati in queste metanalisi hanno permesso di concludere che esisterebbe un’associazione fra uso perineale di talco e tumore ovarico. Tuttavia, i risultati sull’aumento del rischio possono variare in base a come sono stati progettati gli studi analizzati e al tipo di tumore ovarico preso in considerazione.
Nel 2007 è stata completata una metanalisi di 9 studi osservazionali, nei quali erano state coinvolte donne che facevano uso di diaframmi contraccettivi, tradizionalmente conservati nel talco. I dati analizzati non hanno messo in luce alcun legame: un fatto considerato particolarmente rassicurante, dato che un’esposizione così ravvicinata alla sede di sviluppo della malattia dovrebbe avere un effetto più significativo e visibile.
La più ampia coorte finora valutata sul tema è stata considerata in uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel gennaio 2020 sulla prestigiosa rivista JAMA. Nello studio sono stati analizzati i dati di oltre 252.000 donne, in un’analisi congiunta dei dati di 4 grandi studi di coorte statunitensi che ha permesso ai ricercatori di stimare il rischio di sviluppare un tumore ovarico a 70 anni nelle donne coinvolte nella ricerca. I risultati sono rassicuranti: nessuna associazione statisticamente significativa è stata rilevata tra uso di talco nell’area genitale e rischio di tumore ovarico. Tuttavia, gli autori hanno anche avvertito che, per come è stata condotta la metanalisi, potrebbero non essere riusciti a mettere in luce variazioni particolarmente piccole del rischio. In una revisione della letteratura scientifica pubblicata nel 2021, gli autori hanno ribadito una debole associazione tra impiego di talco a livello genitale e tumore dell’ovaio, che potrebbe essere legata anche alla presenza nella polvere di amianto (ora non più consentito) e quarzo.
Nel complesso, come già sottolineato in precedenza, gli esperti concordano sul fatto che un eventuale aumento di un terzo del rischio di sviluppare un tumore ovarico, il valore massimo osservato da alcuni studi, rimane di entità modesta in assoluto, perché il tumore dell’ovaio è già di per sé poco frequente.
Un altro elemento importante è la mancata relazione tra l’entità dell’esposizione al talco e l’aumento di rischio rilevato negli studi caso-controllo. Essenzialmente, chi ha usato più di frequente prodotti per l’igiene intima a base di talco, o chi ha usato più a lungo come contraccettivo un diaframma conservato con il talco, sembra non avere un rischio maggiore rispetto a chi ha avuto esposizioni minori o meno dirette. Nemmeno la durata dell’esposizione, in questo caso un maggior numero di anni di utilizzo del talco nell’area genitale, è risultata associata a un rischio maggiore di sviluppare un tumore ovarico. Anche questo viene interpretato come un dato a sostegno della relativa sicurezza del talco, perché in genere, quando una sostanza causa un tumore, come accade per esempio col fumo di tabacco per il cancro polmonare, la relazione tra l’entità e la durata dell’esposizione e l’aumento del rischio è lineare.
Un’altra indicazione rassicurante viene dal fatto che il talco viene anche impiegato in una procedura chiamata pleurodesi, usata per curare alcuni problemi respiratori: in questo caso, polvere sterile di talco viene distribuita direttamente sul rivestimento dei polmoni e la procedura non sembra avere comportato un aumento di rischio di cancro del polmone.
A luglio 2024, alla luce dei seppure limitati dati sull’uso del talco negli esseri umani, l’International Agency for Research on Cancer (IARC), dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha deciso di rivedere la classificazione del talco riguardo al rischio oncologico. Quindi, ora il talco compare in due gruppi: il talco contaminato da amianto rimane classificato come "cancerogeno per gli esseri umani", ma è rassicurante sapere che la causa della cancerogenicità è l’amianto e non il talco, e che tale prodotto non è più in commercio da molti anni e il talco puro che è invece stato inserito nel gruppo 2A, ovvero quello delle sostanze "probabilmente cancerogene". I dati ottenuti dagli studi condotti negli ultimi anni con colture cellulari e animali di laboratorio hanno mostrato che il talco puro sembra avere alcune caratteristiche comuni ad altre sostanze cancerogene. Dopo una valutazione da parte di un gruppo internazionale di 29 esperti, tali dati sono stati ritenuti sufficienti per una variazione della classificazione (il talco puro era precedentemente classificato come "cancerogeno probabile" nel gruppo 2B).
È bene ricordare che la classificazione della cancerogenicità delle sostanze effettuata dalla IARC è basata sull’affidabilità delle prove scientifiche disponibili sulla relazione di causa ed effetto fra una sostanza e un tipo di tumore.
Le sentenze statunitensi che hanno stimolato domande anche tra i non esperti sul possibile legame tra uso di talco e rischio di tumore ovarico si basano su considerazioni che sono solo in parte legate alle prove scientifiche. Chi ha fatto uso, nel passato, di talco a livello genitale non dovrebbe avere particolari ragioni per allarmarsi. Volendo applicare il principio di precauzione, è consigliabile evitare l’uso di talco nelle parti intime, attorno al perineo e all’interno della vagina, anche se è bene ribadire che dalla maggior parte degli studi non sono emerse prove di una relazione di causa ed effetto tra l’eventuale utilizzo e il comunque piccolo aumento di rischio rilevato in alcune ricerche retrospettive di tipo caso-controllo.