Immunoterapia e tumore al seno triplo negativo

Immunoterapia e tumore al seno triplo negativo

  • di Redazione
  • 5 Agosto 2022
  • Italia ed estero

L’ immunoterapia combinata alla chemioterapia per combattere il tumore al seno triplo negativo! Questo è il binomio che la rivista New England Journal of Medicine trova come più efficace. Secondo gli ultimi dati pubblicati all’interno del prestigioso giornale sembrerebbe che l’utilizzo dell’immunoterapico pembrolizumab, in associazione alla chemioterapia standard, possa allungare in maniera considerevole l’aspettativa di vita e migliorare la cronicizzazione del tumore al seno metastatico triplo negativo.


Il triplo negativo è particolarmente diffuso al di sotto dei 50 anni e si presenta spesso con la mutazione nel gene BRCA1, rappresenta circa il 15-20% di tutte le neoplasie della mammella. 
E' un tumore particolarmente aggressivo e il nome triplo negativo deriva dal fatto che in questo specifico tipo di tumore al seno, a differenza di altri tumori mammari, le cellule non possiedono sulla loro superficie tre principali bersagli terapeutici: il recettore degli estrogeni, quello dei progestinici e l’iperespressione di HER2. L’assenza di questi target rende dunque questa neoplasia particolarmente difficile da trattare. 
Ma oggi una una delle possibili strategie per affrontare la malattia è rappresentata dall'immunoterapia. Sperimentata con successo in diversi tipi di tumore, sono sempre più numerosi gli studi clinici sull'utilizzo di questo approccio nel tumore al seno triplo negativo metastatico. Anche nella scorsa edizione del congresso ESMO svoltasi in settembre, sono stati presentati i dati di KEYNOTE-355 che dimostrava come la combinazione di chemioterapia e immunoterapia fosse estremamente efficace, rispetto alla sola chemioterapia, nel prolungare la sopravvivenza globale alla malattia.

Sembrerebbe che questa strategia sia efficace nel 40% dei casi. Non tutti i tumori triplo-negativo sono uguali. Quelli che rispondono a tale trattamento devono esprimere una particolare proteina (PD-L1) che predice l’efficacia di pembrolizumab. 
In Italia e in Europa non è ancora disponibile questa combinazione, infatti si utilizza l'atezolizumab e non il pembrolizumab ma i risultati del secondo sono nettamente migliori.

Non dimentichiamo gli importanti risultati legati agli anticorpi coniugati che sono stati presentati all’ultimo congresso ASCO lo scorso giugno  Paolo Tarantino, oncologo presso il Dana–Farber/Harvard Cancer Center di Boston spiega: «Lo studio di fase 1 BEGONIA ha mostrato che gli anticorpi coniugati funzionano molto bene in questo stesso setting in prima linea ove combinati con l’immunoterapia, incluso in pazienti con tumori non esprimenti il PD-L1. Ecco perché non è impensabile che in futuro sostituiscano la chemioterapia da abbinare all’immunoterapia».