Antica origine toscana della mutazione BRCA

Antica origine toscana della mutazione BRCA

  • di Redazione
  • 15 Luglio 2024
  • Italia ed estero

Sembrerebbe che una variante genetica abbia origini toscane e che sia stata trasmessa da un antenato (maschio o femmina) vissuto circa tremila anni fa tra la Garfagnana e la Versilia.
Questo è quanto documenta uno studio coordinato da Maria Adelaide Caligo, direttrice della sezione Genetica molecolare dell’Azienda ospedaliero universitaria pisana. I risultati sono stati pubblicati dall’International Journal of Molecular Science, e presentati al convegno internazionale dei Breast Ovarian Cancer Consortia che si è tenuto a Riga, in Lettonia.

Tutto ha inizio nel 2002 quando nella Sezione di Genetica Oncologica dell’Anatomia Patologica dell’ospedale cittadino furono effettuati i primi test genetici per la ricerca di mutazioni ereditarie dei geni BRCA di alcune pazienti molto giovani con tumore al seno in cura presso il Centro di Senologia. Generalmente quando si individuava una donna portatrice di una mutazione BRCA (o, più correttamente, di una variante patogenetica di questi geni, ossia legata all’insorgenza del tumore), effettuano la consulenza genetica anche i familiari più vicini come sorelle e fratelli, figlie e figli e, quando possibile, i genitori, per individuare altri portatori ancora sani della mutazione.

Da 2002, in 20 anni, sono stati raccolti dati su 5000 famiglie. Attraverso lo studio si è cercatodi capire se famiglie distinte, apparentemente non imparentate tra loro, abbiano in realtà un progenitore comune da cui potrebbero aver ereditato una stessa particolare mutazione. Ed, eventualmente, a quanto tempo fa risalga.

"Le varianti patogenetiche dei geni BRCA sono moltissime e anche nella nostra casistica sono molto eterogenee, spiega a Salute Seno Maria Adelaide Caligo, direttrice della sezione di Genetica Molecolare presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, che ha condotto la ricerca, come sempre accade, in una popolazione esistono mutazioni molto frequenti, cioè che ritroviamo uguali in tante famiglie, e altre meno frequenti, fino a mutazioni che chiamiamo ‘private’ perché sono presenti in una sola famiglia".

Caligo e colleghi hanno studiato la mutazione del gene BRCA1 più frequente tra le 5 mila famiglie e  si è scoperto che era condivisa da 27 famiglie che apparentemente non avevano tra loro alcuna relazione. Attraverso i database internazionali hanno poi scoperto che questa mutazione era quasi esclusivamente presente nella popolazione italiana, e in particolare che era molto frequente in quella zona della Toscana. "Normalmente, il fatto di ritrovare mutazioni genetiche solo in determinate aree è un effetto dell’isolamento geografico, spiega Caligo, è infatti un fenomeno molto comune nelle popolazioni delle isole, come la Sardegna. La Toscana non è certo una zona isolata, ma le 27 famiglie che la condividono provengono tutte dalla Garfagnana e dalla Versilia. L’ipotesi, quindi, era che ci fosse un progenitore comune".

I ricercatori hanno scelto un individuo per ciascuna di queste 27 famiglie e hanno confrontato i loro geni BRCA1: quanto più erano simili, tanto più le persone erano geneticamente vicine (e quindi imparentate, sebbene non lo sapessero). In questo modo è stato possibile ricostruire quello che i genetisti chiamano un albero di derivazione.

Una ricerca come questa potrebbe aiutare a migliorare la prevenzione e la diagnosi precoce dei tumori. "Identificare una mutazione molto frequente in una data zona potrebbe permettere, in teoria, di effettuare screening mirati per quella specifica mutazione in quella specifica area geografica, spiega Caligo, il costo di un test genetico per una singola mutazione, infatti, è attualmente 10 volte inferiore al costo di un test genomico esteso. Questa possibile applicazione è però molto futuristica e bisogna prima di tutto dimostrare che un eventuale simile test di screening genetico possa essere applicabile e realmente efficace".

C’è anche un altro risvolto, però, che potrebbe avere ricadute significative. La mutazione individuata, infatti, ha un comportamento "strano", spiega ancora l’esperta: "In alcune famiglie porta un carico di malattia molto pesante e in altre no. Questo dipende dalla penetranza della mutazione, ossia da quanto viene ‘mitigata’ o ‘esasperata’ da altre caratteristiche genetiche. Il prossimo passo sarà quindi cercare di capire nel dettaglio cos’è che determina questo comportamento. Avere queste informazioni può portare a una migliore stima del rischio delle singole persone portatrici della mutazione e, di conseguenza, aiutare i clinici a mettere in atto misure di prevenzione molto più personalizzate di quanto riusciamo a fare oggi".