Il mio Leicester
- di Redazione
- 27 Febbraio 2017
- Testimonianze
Il racconto di Valentina Ligas
Il portiere si tuffa, la rete si gonfia. Goal... Il pubblico urla ma sento solo i miei passi sull’erbetta verde: corro esultando con tutto il fiato che ho in corpo. I compagni di squadra mi seguono, mi accerchiano interrompendo la corsa. Mi abbracciano e mi ritrovo improvvisamente a terra. Sono lì, sdraiata, avvolta dal loro profumo. Uno per uno, in silenzio, ne assaporo e distinguo l’essenza. Il tempo si ferma. Sono ammaliata.
Il mio Leicester, la squadra di Ranieri, della Premier League che ha fatto sognare tutti! Questo posso raccontare del cancro: un intoppo di salute, un’esperienza, un sacrificio come tanti che il destino mi ha chiesto di affrontare, nulla di più. Qualcosa di ordinario che non merita ansia e preoccupazione davanti alla straordinarietà della vita. Lei, solo lei, ogni giorno mi regala una sfumatura diversa, scopro di amarla e rispettarla infinitamente al punto che il cancro, al suo cospetto, è piccolo, piccolo piccolo.
Ciò non significa sottovalutarlo ma che tutto il resto è troppo più importante. Per questo ne ho sempre parlato pochissimo, non perché sia un argomento tabù o qualcosa da nascondere ma semplicemente perché avevo ed ho altre priorità da raccontare. Fin dall’inizio non è stato altro che un dettaglio, un aspetto della mia esistenza. Non mi sono mai sentita malata e non gli ho mai dato del bastardo, sarebbe stato troppo semplice accanirsi su di lui o trovare un capro espiatorio. Ho solo continuato a vivere. Sì, mi sono detta che forse doveva arrivare, era scritto e ho accettato che ci fosse. Non è stata nemmeno una guerra, è stata la mia partita di pallone col sorriso. Il resto lo ha fatto la mia squadra di calcio: ognuno dei miei cari ha messo del suo perché tutto fosse normale come sempre, potessi affrontare il match con spensieratezza e ricevere i palloni giusti per segnare.
Ho giocato divertendomi, inseguendo la mia passione per il calcio senza mai pensare a chi fosse il mio avversario, mi importava solo dei miei compagni e di fare goal venti ed altre mille volte. Lui ha provato a provocarmi, mi ha sgambettato in campo. Sono caduta e mi sono rialzata. Senza rabbia, ho continuato a correre aspettando di ribucare la rete ed esultare con la mia squadra. Felice, con qualcosa di più di una cicatrice ed una cura ormonale: un indelebile sorriso, fedele compagno che mi ha chiesto di compiere un sacrificio per sollevare quella Coppa d’Inghilterra, con loro, i miei cari, la mia squadra, il mio Leicester.